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Vaccini, perché sui ragazzi occorre prudenza - Seconda parte

Anche perché giungono recenti studi americani riguardanti la possibilità di miocarditi o addirittura di sindrome di Kawasaki (si tratta di una sindrome multisistemica infiammatoria pediatrica che viene acquisita nei bambini come malattia cardiaca associata alla Covid-19). Ed in effetti proprio in questi giorni è morto  un tredicenne di miocardite nello Stato del Michigan,  dopo la somministrazione della seconda dose di Pfizer.  I nuovi “vaccini” con RNA messaggero (Pfizer e Moderna) dovrebbero pertanto essere somministrati solo a coloro che hanno superato la fase adolescenziale. Sarebbe pertanto opportuno allargare lo spettro delle persone a cui il vaccino non è consigliato, non solo alle donne in gravidanza, ma anche i giovani. Questi “vaccini” di ultima generazione hanno ricevuto una notevole spinta quando un paio di studiosi dell’Università della Pennsylvania, Kataline Karikò e Drew Weissman hanno scoperto che modificando i prodotti dell’RNA, i nucleosidi, si poteva sfruttare l’aumento di produzione delle proteine da parte dell’RNA messaggero e sopprimere la reazione del sistema immune verso le stesse molecole dell’RNA messaggero. Questa in sostanza è la scoperta fondamentale che sta alla base dei “vaccini “a RNA messaggero.

I vaccini a mRna: rischi e benefici

La specificità della Pfizer-BioNTech consiste nel fatto che per affrontare il Sars-Cov-2 è stato realizzato, non un classico vaccino ma una terapia genica, basata su mRNA che contiene le istruzioni per la sintesi nell’organismo umano di nuove proteine le quali dovrebbero permettere di resistere all’attacco del virus. I fautori di questa terapia fanno notare che le cellule umane già processano, normalmente, più di 5000 diversi RNA messaggeri, tutti temporanei, possedendo l’mRNA nel nostro organismo una emivita media di circa 5 minuti. Il prodotto della Pfizer-BioNTech, quindi, non avrebbe rischi. I critici, dal canto loro, fanno notare che la terapia (oggi peraltro ancora in fase sperimentale e utilizzata solo contro gravissime malattie genetiche, non infettive, per le quali non esiste una cura, come ad esempio distrofia muscolare di Duchenne, adrenoleucodistrofia cerebrale, mucopolisaccaridosi) potrebbe, invece, scompaginare il nostro sistema immunitario, impedendogli di continuare a neutralizzare gli innumerevoli virus con i quali normalmente conviviamo. Degradandosi, può (al pari delle cellule immunocompetenti che hanno inglobato il vaccino) entrare in circolo, raggiungendo ogni distretto del corpo dove può avvenire l’incontro con qualche retrovirus o con uno dei quattro coronavirus (229E, NL63, OC43, HKU1) già presenti nel nostro organismo.

Astrazeneca sì o Astrazeneca no?

Passiamo ad Astrazeneca. Il vaccino elaborato ad Oxford contiene le istruzioni genetiche del virus per la costruzione della proteina spike della Covid-19, ma a differenza dei vaccini a RNA messaggero esso utilizza un frammento di acido nucleico che contiene l’informazione per la produzione della spike inserita nel DNA di un adenovirus che funge da trasportatore, una sorta di “cavallo di Troia”. Gli adenovirus sono virus comuni che causano nell’uomo raffreddori o sintomi influenzali. Nel caso dell’AstraZeneca viene utilizzato una versione modificata di adenovirus degli scimpanzé, in grado di penetrare nelle cellule, ma non di replicarsi. Dopo che il vaccino viene iniettato nel braccio di una persona, gli adenovirus si agganciano alla superficie delle cellule e vengono veicolati all’interno del nucleo, sito del DNA cellulare. Dal momento che il vettore (l’adenovirus) “trasporta” il gene della proteina spike, una volta penetrato nel nucleo della cellula quel gene mediante l’RNA produce il corrispondente messaggero che fornisce l’informazione della spike. Successivamente la cellula produce gli anticorpi specifici verso la proteina virale.