“Giorgia Meloni la pensa esattamente come Giuseppe Cruciani“. La notizia la dà Alessandro Sallusti: la premier “va dritta per la sua strada” sulla “battaglia” che in questi giorni imperversa contro la giustizia. I fatti sono noti: prima il ministro Daniela Santanché, finita nel mirino dei quotidiani di sinistra, scopre di essere indagata a mezzo stampa per le questioni che riguardano Visibilia e le sue società imprenditoriali. Poi per Andrea Delmastro, sul caso Cospito, viene disposta l’imputazione coatta dal Gip nonostante i pm ne avessero chiesto l’archiviazione. E infine le polemiche con l’Anm, il sindacato dei magistrati, rimasti piccati per quella dichiarazione fatta uscire da Palazzo Chigi in cui si ventilava l’ipotesi di una sorta di complotto dei giudici per indebolire il governo.
Se ne è parlato, ovviamente, anche sul palco della Ripartenza. E il direttore di Libero, che sulla Meloni sta per rilasciare un libro pieno di retroscena, si è lasciato andare al racconto di un dialogo avuto a Palazzo Chigi con la leader di Fratelli d’Italia. Per Sallusti Meloni è sì consapevole che il governo fa il governo e i giudici fanno i giudici. In qualche misura se ne frega di quello che possono fare o dire, convinta di avere dalla sua parte una larga fetta di elettorato. Tuttavia il direttore ci tiene a precisare che un po’ di attenzione il centrodestra farebbe bene a farla. “Ho avuto la disgrazia di interrogare per 40 giorni il capo di quel Sistema della magistratura e dei suoi alleati che ha dato le carte per tutto l’antiberlusconismo, ovvero Palamara. E lui ha spiegato che direttamente o indirettamente dal 2006 al 2020 la magistratura ha contribuito in maniera attiva a far cadere quattro governi. E Palamara diceva che l’obiettivo dell’azione giudiziaria era proprio far cadere il governo”. Insomma: “Che la magistratura provi a orientare il corso della politica e quindi a inquinare la democrazia è un fatto acclarato”. E visto “la storia si ripete”, i sintomi di questi giorni vanno in quella direzione. Più o meno lo stesso principio espresso durante Una zanzara nella Zuppa anche da Nicola Porro: tra caso Delmastro, Santanchè e La Russa “sembra di essere tornati al 1994”.
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