Confesserò che sulle accuse al generale grafomane Roberto Vannacci non ci ho capito quasi niente; anzi, non ci ho capito un accidente di niente, e non credo di essere il solo. In compenso ho capito che spunta la luna, spunta il sole e ogni giorno che Dio manda in terra il fascicolo a suo carico si arricchisce: adesso pure l’istigazione all’odio, quando, al massimo, Il mondo al contrario dovrebbe venire processato solo per istigazione a scrivere; del resto, se scrive gente come Andrea Scanzi e Gino Cecchettin, tutto è lecito. Adesso manca solo il Codacons, quello che parte con un esposto ogni volta che Fedez scorreggia, a tempo di rap, e poi, povero generale, ha fatto il pieno.
No, non ci ho capito granché dei crimini di cui è accusato: odio a parte, che è abbastanza risibile, avrebbe preso una indennità familiare quando era in Russia, mentre la famiglia restava in Italia; avrebbe organizzato feste e trattenimenti, insomma pubbliche relazioni; sarebbe andato in giro con una Bmw, un mezzo catorcio destinato alla rottamazione. Per questa roba si apre un rosario di procedimenti? Certo, a cercare con accanimento, qualcosa sempre si trova: un po’ la faccenda del vigile che ti ferma e prima o dopo il fanalino che non illumina bene te lo trova. E ti multa. Però siamo seri, signori! C’è chi dice: lo segano perché si candida. Con la Lega. Giustizia a orologeria. Prevedibile come un luogo comune, ed è in effetti la valutazione più immediata, talmente scoperta da sembrare quasi implausibile; ma è vero che la magistratura, di qualsiasi matrice, anche militare, non è che si preoccupi molto di risultare credibile o indipendente o trasparente: fa come le pare, confidando nell’eterna autopercezione di onnipotenza e di autolegittimazione. Senonché, subito, pronta la controbiezione: bravi, così ne fanno un martire e gli regalano l’elezione a furor di popolo. E anche questo ha un senso, meglio: una logica incontestabile. La magistratura non si preoccupa neppure di risultare, per così dire, sagace: le basta procedere, magari dietro qualche impulso.
Che, in questo caso, non proverrebbe, secondo gli insider del deep state, dal solito Pd quanto, per non fare i nomi, dal ministro difensivo Crosetto, che si sarebbe legato al ditone alcune provocazioni, alcuni sgarbi dall’ex parà fin troppo cazzuto e galvanizzato dal successo editoriale. Anche qui, siamo nel campo del verosimile, fondato, ma non probabile, o meglio non probatorio. Di sicuro c’è almeno questo: che simili aggrovigliate accuse, con tanto di immancabile supertestimone appena uscito dal cilindro, son già riuscite a trasformare un personaggio vanitoso, a suo modo supponente, divisivo, un profeta del banale che piace sentire alla plebe incazzata, in una vittima, un martire, dunque un eroe. No, non ci ho capito praticamente niente delle miserie attribuite a Vannacci, mentre una cosa l’ho capita e nessuno me la toglie dalla testa: se non si candidava, difficilmente simili accuse lo avrebbero infiocinato, tanto meno quella dell’“odio”.
Anche un’altra cosa ho capito, e qui mi arrischio ad avanzarla: che, alla fine, simili accuse finiranno nel vento e infine nell’oblio, dopo avergli sporcato un po’ l’immagine, la reputazione. Insomma la cara vecchia merda nel ventilatore. Che venga o meno trasferito al Parlamento europeo con Salvini o con chi gli pare a lui. Una di quelle beghe giudiziarie che alzano un gran polverone proprio perché il polverone è tutto ciò che si può, si deve alzare. Perché se in ballo ci fossero altri sospetti, faccio giusto per dire, per fantasticare: se questo fosse in odore di spionaggio per Putin, se avesse tramato chissà quali losche manovre contro il suo Paese, se avesse organizzato un giro di russe e ucraine in voli charter da Mosca e Kiev fino a Roma, se, se, se… Ecco, roba del genere sarebbe più comprensibile e sicuramente sarebbe subito sgorgata; il peculato a bordo di un catorcio, dopo sei mesi di sovraesposizione, ecco, pare, come dire, un po’ tirato. Nel senso che mi diceva sempre quel procuratore di Fermo, pace all’anima sua: “Vede, Del Papa, il diritto è come la pelle dei coglioni: va dove lo tiri”.
Vannacci era ben avviato a una carriera da politicante, ma, soprattutto, da influencer, con le sue camiciole fluide, il piedino a fil di bagnasciuga, le pose veneree botticcelliane, l’espressione che ricorda un Edoardo Bennato meno simpatico e meno percettivo: adesso è nell’occhio del ciclone, e forte è il sospetto che gli si voglia far pagare pure il fin troppo facile successo di un libretto gonfio di stereotipi, pillole di populismo avvolte nella carta dei Baci Perugina e, sicuramente, qualche passaggio sgradevolissimo, ma che, garantisticamente, possiamo ancora rubricare sotto la voce “coglionate”, e quindi disinteressarcene. Roberto Vannacci non è una vittima e non è un carnefice, se non della letteratura: ma chi lo ha messo sulla graticola è un po’ meno vittima e un po’ più carnefice di lui. E, se continua così, otterrà solo l’effetto di renderlo sempre più simpatico ad una platea molto più numerosa di quella che si è bevuta il suo manoscritto. Per la semplicissima ragione che le opinioni di un incursore di stanza a Mosca possono essere odiose fin che si vuole, ma tutta questa storia è avvolta in un gran tanfo di rappresaglia a cronometro e questa, questa è davvero la cosa più odiosa di tutte. Specie se si immagina salita da una destra che, in caso, avrebbe sprecato l’ennesima occasione per distinguersi dalla peggiore sinistra.
Max Del Papa, 26 febbraio 2024
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