Come si costruisce un candidato alla presidenza della repubblica o in subordine un guru mediatico. Ebbene sì, questa è la storia di Walter Veltroni.
L’eterno ragazzo di Botteghe Oscure, numero due di Massimo D’Alema, ma anche di Romano Prodi e di Fausto Bertinotti. Forse anche di Bill Clinton. Ed è lui il comunista che ha dichiarato di «non esser stato mai comunista».
Appassionato di cinema e naturalmente anche di pallone. E’ la storia dunque di un giovanotto, figlio d’arte – il padre Vittorio, democristiano, fu il primo direttore di un Tg – che ci sa fare perché è un buono, anzi è un buonista, cioè un cattivo mimetizzato. È su questa singolare caratteristica che costruisce una carriera politica ma anche editoriale. I giornali sono l’altra sua grande passione. Dirige l’Unità e allega al quotidiano fondato da Antonio Gramsci le Figurine Panini. Dopodiché porta in edicola con l’Unità le videocassette.
Una lunga parentesi politica corrobora questa carriera, prima con incarichi di governo, in seguito da fondatore e segretario del Partito democratico con tanto di sottofondo musicale. Jovanotti nientemeno, Mi fido da te. Veltronismo – come scrisse Massimo Gramellini in un pamphlet di qualche anno fa – significa «sorridere piano, con lo sguardo del timido», significa «parlare di politica attraverso la tv, il calcio ma senza riferimenti boriosi a scudetti e coppe vinte».
Il Quirinale val bene una vita da missionario in Africa. Veltroni tira i remi in barca, sparisce dalla circolazione e decide di fuggire in Africa. Anzi, no. Si ritaglia il ruolo di riserva della Repubblica. Il sogno del Quirinale è forse solo un dispetto a D’Alema, ma sa che dentro il Pd sono più i nemici che gli amici. Chi lo detesta non osa dirlo pubblicamente. E allora Walter studia e lavora comunque a un piano B. La partita per la elezione del Capo dello Stato appare complicata. Il suo uomo di fiducia, ex caporedattore de l’Unità, Luciano Fontana, è direttore del Corriere della Sera. I due non hanno mai interrotto la comunicazione. Si conoscono da tempo immemore, dagli anni della Federazione dei Giovani comunisti italiani. All’epoca Uolter – così viene chiamato con una nota di sfottò – era il segretario nazionale e Luciano il capo della Fgci di Frosinone.
Ne consegue che l’ingresso di Veltroni a via Solferino è cosa fatta. Da collaboratore, va da sé. Si tratta di un rapporto che inizia in sordina il 14 ottobre del 2018 ma pian piano si trasforma in una sorta di direzione ombra di cui ne beneficia “socialmente” l’editore dello stesso giornale Urbano Cairo. Non a caso, a distanza di due anni Veltroni è la prima firma del CorSera. A lui i grandi commenti, a lui le grandi interviste, a lui il ricordo dei ricordi dedicato al Pibe de oro, a lui ovviamente le ospitate in tutte le rete televisive, sia quelle del servizio pubblico che privato. I programmi della Rai lo desiderano a pranzo, a cena e a colazione. I dibattiti, che non faranno più audience, lo vedono perennemente in prima fila su La7.
La sua è un’operazione inversa a quella di Giovanni Spadolini (Firenze, 21 giugno 1925 – Roma, 4 agosto 1994, direttore del Corriere della Sera dal 68 al 72), che dal giornalismo scalò le vette delle politica italiano fino a giungere a Palazzo Chigi. La sua ambizione è onnivora. Ogni giorno c’è un suo articolo, sia che si tratti di pandemia, sia che si tratta di una chiacchierata con Renato Zero o con un grande vecchio della politica italiana. Ogni tre mesi dà alle stampe un libro che sia un giallo o un saggio.