Inutile girarci intorno: l’informazione italiana (con rare e meritorie eccezioni, per fortuna) non ha fatto una gran figura, lo scorso weekend, con la copertura del vertice europeo a Bruxelles: poco credibile chi ha parlato di trionfo italiano, ancora meno credibile chi ha dato addosso al premier Conte dopo un triennio di inchini al renzismo.
Diciamocelo con franchezza, comunque la si pensi (pro o contro il governo gialloverde, pro o contro i grillini, pro o contro Salvini): non è una prova di credibilità per il sistema mediatico nel suo complesso ridurre (quasi) tutto a tifoserie contrapposte, a hooligans in redazione, a curve che devono (per forza!) proclamare la propria vittoria schiacciante o l’altrui sconfitta umiliante.
Proviamo allora – a bocce ferme, senza faziosità – a vedere luci e ombre di tutta la vicenda.
Il Consiglio Europeo ha portato all’Italia due buone notizie e una cattiva, che purtroppo conferma l’attitudine dell’Ue a scrivere i comunicati, a produrre scatole vuote, a far finta di trovare accordi, anziché risolvere davvero i problemi.
Due buone notizie
Cominciamo dalla prima buona notizia, che è un dato politico inoppugnabile: l’Italia c’è e si fa rispettare. Anche la stampa internazionale ha dovuto riconoscerlo: chi con asciutto realismo, chi con ironia sul nuovo arrivato Conte, chi con aperto fastidio, chi con ammirazione. Ma tutti hanno messo nero su bianco che le minacce di veto italiano hanno per lo meno pesato sulla discussione sull’immigrazione.
La seconda buona notizia è un tema che non ha trovato un posto significativo nelle conclusioni della riunione europea: nessun riferimento nei documenti finali ufficiali a banche e NPL (crediti inesigibili). Inutile girarci intorno: era su quello che il solito asse franco-tedesco voleva giocarci uno scherzo terribile. Nel recente incontro tra la cancelliera tedesca Merkel e il presidente francese Macron al Castello di Meseberg, infatti, a proposito di unione bancaria, si era parlato di possibili strumenti comuni di intervento e salvaguardia per le banche, ma soltanto a seguito di una riduzione degli NPL. In particolare, sarebbe stata fissata come desiderabile una soglia di NPL lordi al 5% e netti al 2,5% (l’Italia è in entrambi i casi a una percentuale poco più che doppia).
Invece, da parte di Francia e Germania, totale silenzio rispetto ai titoli “Level 2” e “Level 3”, comunemente definiti “tossici”: a onor del vero, non tutti sono pericolosi, ma ammontano a una quantità molto superiore (si stima dodici volte) a quella degli NPL, e sono soprattutto detenuti dalle banche tedesche e francesi.
Gli interrogativi, a quel punto, sarebbero stati non pochi e non di piccola importanza: davvero l’unico indice di pericolo per una banca sono gli NPL (guaio per l’Italia)? Perché sottovalutare queste altre voci (guai per Francia e Germania)? Si mira a un’unione bancaria con forte garanzia per le banche francesi e tedesche e minor condivisione del rischio per quelle italiane o dell’Europa mediterranea?
Ciascuno comprende che solo un’omogeneità di trattamento e valutazione e un sistema di condivisione dei rischi che non sia penalizzante verso alcuni può evitare che spread e tensioni sui mercati inneschino una riduzione al minimo del valore delle azioni delle banche italiane, con conseguenze facilmente immaginabili. Bene dunque che, almeno per il momento, si sia riusciti a evitare ulteriori agguati contro l’Italia. Naturalmente occorrerà vigilare e tenere la guardia alta: ma per ora, niente danni ulteriori.
La cattiva notizia
Veniamo alla cattiva notizia, e torniamo all’immigrazione e al documento finale. Dunque, esaminiamo l’intesa conclusiva: bisogna inviare i migranti salvati in centri controllati costruiti su base volontaria in tutta Europa per un’analisi rapida della loro posizione, e per distinguere tra rifugiati da accogliere e altri migranti da rimandare indietro. Molto bene.
Ma nel testo, scritto accuratamente affinché in apparenza tutti possano dirsi vincitori e nessuno si senta umiliato, ci sono almeno tre prese in giro, tre vuoti clamorosi, tre zone d’ombra.
1. Se questi centri sono su base volontaria, chi li farà?
2. Dove verranno eventualmente costruiti?
3. Dove verranno rimandati quelli la cui domanda di asilo sarà respinta? Lasciare aperti così tanti dubbi mostra una volta di più la crisi dell’Ue, dei suoi meccanismi decisionali, e il declino irreversibile del progetto europeo.
Daniele Capezzone, 2 luglio 2018