Salute

Vi racconto la mia (tragica) esperienza con i medici

Nel tempo ho cercato di circondarmi di medici che prima di essere medici erano amici, da me ben radiografati e rodati

Salute

Oggi, col vostro permesso, non parlerò di politica. La prendo larga. Un mio conoscente con problemi di respirazione notturni. Visite, specialisti, farmaci, esami, centri di eccellenza, aggeggi elettronici addosso. Niente. A quel punto, consigliata operazione. A quel punto ha detto stop. Qualche tempo dopo, alla carlona, ha dormito con due cuscini. Passato tutto. Veniamo a me. Avevo sedici anni quando, di notte, venni svegliato da improvvisa apnea. Dopo quel primo attacco (non riuscivo proprio a respirare), sempre all’improvviso, anche per strada, stesso problema. I medici consultati mi dissero che dovevo operarmi di tonsille. E così feci. A diciott’anni. Da sveglio, ovviamente. Non servì a niente. Un altro medico consigliò aria di montagna al mattino presto. Mi trasferii per un mesetto. Svegli alle cinque, freddo boia, percorso in salita fino in cima all’osservatorio. Tutti i giorni. Niente.

Uno specialista in altra città suggerì di percorrere una galleria subito dopo passato il treno a carbone e inalare quell’aria. Eseguii anche questa. Niente. Un altro mi fece fare inspirazioni nasali di acqua di mare. Non vi dico il godimento. A ventidue anni i progressi dei protocolli mi portarono sul tavolo operatorio: setto nasale storto. Sempre da sveglio. Intervento riuscito perfettamente, ma per un mese stetti col mal di testa per i colpi di scalpello sul cranio. Niente. A ventotto anni i nuovi protocolli stabilirono: allergie. Prove allergiche, cicli di quaranta iniezioni sottocutanee, cyclette ad agosto, prove acustiche in cabina etc. Niente. Avevo già quarant’anni quando un amico psichiatra (psichiatra!), per telefono, mi disse che i miei sintomi gli sembravano asma e mi diede la ventolina. Miracolo. Passato tutto. A proposito di psichiatri: all’università avevo un caro amico, un giovane piuttosto complessato ma buono come il pane. Io facevo scienze politiche, e lui? Psichiatria. Ci mise decenni a laurearsi. Lo rividi molto tempo dopo. Sul portone c’era una targa a suo nome con su scritto «psichiatra» (in sintesi, la lista era lunga).

Per approfondire:

Da qui, dilemma di coscienza: mi sarei piazzato davanti a quel portone ad avvertire i potenziali pazienti che stavano affidandosi non a un pompiere ma a un probabile incendiario? Che a furia di psicofarmaci e tentativi di cura si sarebbero probabilmente fritti il cervello? È solo un esempio, ma potrei farne molti altri. Come quella mia amica oculista che cercò di mettermi delle lenti a contatto mentre avevo l’influenza. Fu il tecnico della ditta a dirmi che una cosa del genere è semplicemente folle. Ovviamente, ho conosciuto anche medici bravi, per carità. Come quello che mi ha curato il Covid per telefono guarendomi perfettamente. Ma è una grazia del cielo. Nel tempo ho cercato di circondarmi di medici che prima di essere medici erano amici, da me ben radiografati e rodati.

Come quello che, mentre assistevo una persona malata di cuore in un centro rinomato, dopo una decina di esami che richiedevano altri esami, e alle tre di notte eravamo ancora lì, disperato gli telefonai. Mi disse di venir via firmando qualunque cosa. Già: il centro guadagnava a ogni ulteriore esame. Mi torna in mente san Giuseppe Moscati, il «medico santo» (di cui in questo blog ho segnalato la biografia – Ares – scritta da un medico, Paolo Gulisano): per le diagnosi si affidava allo Spirito Santo e non sbagliava mai, divenendo perciò leggendario. Non so quale imperatore cinese aveva obbligato i medici a tenere una lanterna accesa davanti alla porta dello studio per ogni paziente guarito. Così che tutti andavano da quello che ne aveva di più. Gli altri erano costretti a cambiare mestiere, con sollievo di tutti.

E noi, oggi? Ci si presenta uno sconosciuto in camice bianco e gli affidiamo la nostra vita. Gli chiediamo quanto tempo ci ha messo a laurearsi? Che voti ha preso a ogni esame? No, sarebbe scortese. E di sicuro indisponente.

Rino Cammilleri, 27 febbraio 2023