di Laura Zambelli Del Rocino
Putin sembra conoscerci benissimo, non possiamo dire altrettanto noi europei di lui, vista la piega che prendono gli eventi. Al netto dell’impegno degli esperti economici che proiettano il disastro cui andremmo incontro se il conflitto si protraesse nel tempo con le relative incertezze, c’è il fattore storico, psicologico e sociale che sfugge ai più.
Noi pensiamo all’Est come a un’entità territoriale lontana, geografica e politica, sono invece scarse le conoscenze della mentalità stessa di quei popoli. Sarebbe sufficiente leggere con occhio critico i classici russi dell’Ottocento (un buon motivo per incrementarne lo studio anziché scivolare nella cancel culture), la successiva letteratura e la saggistica dei dissidenti russi, ma anche di quelli polacchi, cecoslovacchi e ungheresi, per intuire la netta distanza che ci separa.
In ultima analisi tornerebbe utile anche solo qualche viaggio in loco, lontano dalle “enclave” di Mosca e San Pietroburgo, diventate cliché nel nostro immaginario sulla base della nuova borghesia, gli oligarchi, lo shopping, ma anche dei giovani istruiti e critici che scendono coraggiosamente in piazza sfidando la sorte. La vera Russia non è questa, la grande Russia è quella delle province, delle campagne, è quella dove il tempo avanza lento e dilatato a braccetto con lo spazio, quella della vastissima pazienza, della rassegnazione, quella del sacrificio e delle privazioni, dell’imperialismo e del comunismo sulla pelle.
Dei 144 milioni di abitanti un terzo è rappresentato da pensionati e ciò che traspare dallo sguardo dell’uomo russo è la mancanza di spontaneità, il timore di esprimere una virgola scorretta che potrebbe costargli la vodka e la capretta da mungere, ha un’infarinatura poetica ma ben scarsa dimestichezza coi valori umanistici, la tradizione liberale e i diritti civili. Il cerchio si chiude con la censura e la propaganda interna: convinti di essere dalla parte giusta della storia, anche la vodka più scadente diventa uno shot corroborante. “Patria o muerte”, diventato anacronistico alle nostre latitudini, là è ancora digeribile a suon di medaglie ed è soprattutto imposto.
Ecco perché un conflitto prolungato nel tempo scalfirebbe ben poco il popolo russo assicurando la sopravvivenza dei suoi vertici: la vera resistenza sono loro, noi siamo già all’isteria da crisi energetica e bollette dopo 10 giorni di conflitto. “Putin è un genio”? Del male ma sì, conosce e sfrutta le debolezze degli europei, vede dimenarci e spaccarci tra pacifisti e interventisti, in beghe partitiche, in accuse reciproche sulle cause del conflitto senza conoscerle a fondo, tutti presi dalla transizione energetica, strozzati dalle accise Ue sull’energia fossile in un momento dove il carbone sarebbe la temporanea alternativa al gas russo.
Con gli embarghi noi pensiamo di inchiodare Putin, ma abbiamo il coltello dalla parte della lama. La sua, di lama, è il popolo, mentre noi ci trastulliamo col bonus psicologo per il covid e l’incertezza sulla prossima vacanza. Il Putin per noi impenetrabile sta vincendo su tutti i fronti e se la trattativa a questo punto è la resa con più o meno concessioni (con la pistola alla tempia direi molte), l’alternativa è il massacro dei civili in primis e le conseguenze economiche per tutti.
Con la differenza che noi, dopo lo sdegno iniziale e l’“armiamoci e partite”, torneremo ad azzuffarci e cadremo in depressione al primo pieno di benzina, mentre loro continueranno a bere vodka e mungere la capretta, resilienti ora come allora.