Roger A. Pielke Jr. (nato il 2 novembre 1968) è uno scienziato e professore americano. Ha prestato servizio nell’Environmental Studies Program ed è stato membro del Cooperative Institute for Research in Environmental Sciences (CIRES), dove ha ricoperto il ruolo di direttore del Center for Science and Technology Policy Research presso l’Università del Colorado Boulder dal 2001 al 2007. Potrei elencare i suoi titoli e riconoscimenti per un’intera pagina, ma quello che vorrei far capire è che non si tratta sicuramente dell’ultimo arrivato.
Per inquadrarne meglio le sue posizioni ambientaliste, vorrei chiarire che lo scienziato ha sempre accettato la visione dell’IPCC (non quella distorta, riportata dai media n.d.r.), affermando: “L’IPCC ha concluso che le emissioni di gas serra derivanti dall’attività umana sono un importante motore dei cambiamenti climatici. E solo su questa base sono personalmente convinto che abbia senso agire per limitare le emissioni dei gas serra”. E oltre ad avvalorare la tesi del cambiamento climatico di origine antropica, lo scienziato è anche un elettore del partito democratico americano. A questo punto spero che i lettori che sono arrivati a leggere fin qui non pensino di aver sbagliato sito.
Vorrei rassicurarli, si tratta di uno scienziato preparato e intellettualmente onesto, e sono convinto che abbia le sue valide ragioni per ritenere che il cambiamento climatico sia influenzato dalle emissioni dei gas serra di origine antropica. E la scienza, per avanzare nella ricerca della verità, pur tuttavia senza mai a raggiungere, ha bisogno di un continuo, onesto e serio confronto. Quindi, ogni dibattito, basato su un serio approccio scientifico, deve essere benaccetto. Questo perché, senza voler scomodare Sir Karl Raimund Popper e il suo razionalismo critico, una teoria scientifica, per quanto numerose possano essere le osservazioni sperimentali a suo favore, non potrà mai essere provata definitivamente, e basta anche solo una smentita sperimentale, da parte di uno scienziato serio, per confutarla.
E siamo arrivati al punto: che cosa succede quando il confronto scientifico viene inquinato da interessi politici e/o economici? La scienza si trasforma in pseudoscienza, contravviene cioè ai requisiti di verificabilità richiesti dalla scienza. I risultati dei riscontri vengono distorti, sono riportati ricorrendo a falsi sillogismi, o si ottengono ignorando artatamente il paradosso di Simpson (che causa la falsificazione della relazione tra due fenomeni a causa di altri fenomeni non presi in considerazione nell’analisi (variabili nascoste)).
Nel 2001, l’allora giovane ricercatore, che stava per lasciare il National Center for Atmospheric Research per l’Università del Colorado, partecipò a una tavola rotonda, ospitata presso la sede della National Academy of Sciences (NAS), con un gruppo di Senatori degli Stati Uniti, il Segretario del Tesoro e circa una mezza dozzina di altri ricercatori. L’evento aveva la finalità di aggiornare l’allora nuova amministrazione di George W. Bush sul cambiamento climatico. All’epoca il giovane Pielke non aveva mai testimoniato al Congresso e non aveva ancora avuto impegni politici di alto livello. E qui avvenne il fattaccio rivelatore: quando fu annunciata la tavola rotonda, molti dei suoi colleghi molto più “esperti” lo contattarono per convincerlo a travisare la sua ricerca sul ruolo del clima e della società negli impatti economici causati dalle condizioni meteorologiche estreme; la sua pubblicazione, oibò, dimostrava che i crescenti danni da uragani negli Stati Uniti potevano essere spiegati interamente con l’aumento della densità demografica e con il valore, cresciuto negli anni, dei beni colpiti (es.: se negli anni al posto di una capanna è stato eretto un grattacielo, l’impatto economico di un uragano sarà ben diverso).
Un collega gli spiegò che la sua ricerca, anche se scientificamente accurata, poteva distrarre dagli sforzi per sostenere la riduzione delle emissioni, argomentando così: “Penso che abbiamo l’obbligo professionale (o morale?) di stare molto attenti a ciò che diciamo e a come lo diciamo quando la posta in gioco è così alta”. Il messaggio era chiaro: il fine giustifica i mezzi; pertanto, era necessario e giusto sminuire o addirittura travisare la ricerca. Era la richiesta di un vero e proprio sacrificium intellectum di gesuitica memoria, la morte della scienza!
Questo atteggiamento, che dal lontano 2001 è diventato sempre più radicato e pervasivo, coinvolge il mondo accademico, i media, e la politica. Non è solo lecito mentire alla massa ignorante e priva di identità, ma anzi, è doveroso per guidarla più facilmente verso un futuro (il glorioso sol dell’avvenire) ritenuto migliore (o più redditizio?) dalla classe degli eletti; e per farlo, quali strumenti migliori della disinformazione e del terrore? E così il cambiamento climatico diventa crisi, o meglio, catastrofe climatica, i rovesci temporaleschi diventano bombe d’acqua, la temperatura non solo aumenta, ma la terra va letteralmente a fuoco, il livello dei mari non cresce di qualche millimetro ogni decennio, ma intere popolazioni stanno miseramente affogando per colpa nostra, chi la pensa diversamente è un pericoloso “negazionista”, ecc…
Come disse un accademico australiano in una conferenza all’Università di Oxford nell’autunno del 2009: “La situazione è così grave che, sebbene le persone abbiano paura, non sono abbastanza impaurite dai risultati scientifici. Personalmente non riesco a vedere alcuna alternativa alla necessità di aumentare il fattore paura.” Allo stesso modo, quando gli è stato chiesto come motivare l’azione sul cambiamento climatico, l’economista Thomas Schelling ha risposto: “È una vendita difficile. E probabilmente devi trovare il modo di esagerare la minaccia… una parte di me simpatizza con l’insincerità… A volte vorrei che potessimo avere, nei prossimi cinque o dieci anni, un sacco di cose orribili in corso – sai, come un tornado nel Midwest e così via – che renderebbero le persone molto preoccupate per il cambiamento climatico. Ma non credo che accadrà.”
A seguito del suo rifiuto di piegare la verità scientifica alla propaganda climatica (ripeto, pur non negando mai il contributo antropico al cambiamento climatico), nel 2015, un membro del Congresso, il rappresentante Raul Grijalva avviò un’indagine pubblica su Pielke. Il signor Grijalva ipotizzò che lo scienziato potesse aver preso soldi da Exxon o da altre società di combustibili fossili. Finalmente, nel 2021, una giornalista ebbe il coraggio di narrare la sua vicenda, e la successiva indagine, condotta dall’Università del Colorado Boulder, ha recentemente scagionato lo scienziato da tutte le accuse e le insinuazioni del signor Grijalva. Tuttavia, è bastata l’accusa, rivelatasi assolutamente falsa, per rovinare la sua carriera e ostacolarne il lavoro di ricerca (vi ricorda qualcosa?).
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Come scrive Pielke: “… essere ferocemente perseguitati in pubblico e privato per 15 anni da politici, attivisti, alcuni scienziati e colleghi accademici non è divertente. Porta anche a sentimenti di imbarazzo e vergogna, che sembrano inappropriati, ma che ti rimangono dentro. La totale mancanza di sostegno istituzionale è stata a volte frustrante, triste, deprimente…”. In un saggio del 2021, apparso su The Atlantic, Anne Applebaum ha descritto molto bene ciò che accade ai professori che cadono in disgrazia per le loro opinioni: “Ecco la prima cosa che accade una volta che sei stato accusato di aver infranto un codice sociale (n.b., NON scientifico n.d.r.), e ti ritrovi al centro di una tempesta sui social media per qualcosa che hai detto, o presumibilmente detto: il telefono smette di squillare. La gente smette di parlarti. Diventi tossico.”
La politologa Eve Seguin dell’Università del Quebec ha coniato una frase per descrivere cosa succede quando gli amministratori universitari decidono che un membro è diventato un “problema” per la propria facoltà: mobbing accademico.
Tutto questo è successo ad uno scienziato che non nega e che non ha mai negato il contributo al cambiamento climatico di origine antropica, ma che ha avuto l’unica colpa di rifiutare l’approccio catastrofista del sistema politico, accademico e mediatico. Adesso, immaginatevi quello che può accadere ad un ricercatore considerato “negazionista”!
Carlo Mackay, 10 settembre 2024
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