La storia di Roma la conoscete. Un vigilante ha sparato dieci colpi di pistola e ha ucciso uno dei quattro rapinatori. E devo dirvi la verità: io sono sempre dell’idea che quando muore una persona è una tragedia. Però sono anche dell’idea che questo è un paese in cui le forze dell’ordine, e lo dico con grande affetto nei loro confronti, o per loro insipienza o per il fatto che non glielo permettono, sono poco presenti nel contrasto alla microcriminalità. Le forze dell’ordine non riescono, nelle nostre aree metropolitane, a fare quello che fa un Cicalone qualsiasi: telefonini sottratti, vespe portate via, auto rubate. Basta vedere l’aumento del numero di denunce e furti nelle grandi città per chiedersi: “ma che cosa sta succedendo?”. E alla fine la gente è costretta a difendersi come può.
Nel caso di Roma, parliamo di un rapinatore che era entrato in un appartamento dalla finestra, aveva preso in ostaggio una signora insieme a tre complici. Stando a quanto afferma il vigilante, i banditi avrebbero cercato di investirlo due volte e per questo ha sparato. Nove colpi in aria, pare. Uno però è finito contro uno di questi malviventi che è morto.
Pietà per il morto, ma anche pietà e ragionevolezza per chi ha sparato. Perché è assurdo immaginare che questo signore adesso debba ritrovarsi la vita rovinata, come accadrà sicuramente, tra indagini, processo e – immagino – anche per il rimorso di coscienza di aver ucciso una persona.
Viviamo in un paese in cui purtroppo bisogna spiegare che non si entra nelle case senza permesso, che non si rapinano le persone, che non si sequestrano gli esseri umani.
Sarebbero tutte cose normali. Eppure qua sembra che il problema lo vogliano sempre nascondere sotto il tappeto.
dalla Zuppa di Porro