Vittorio Emanuele, il re arcitaliano che si vantava di andare a prostitute

È morto ad 86 anni a Ginevra il principe di Savoia, che è stato un po’ commedia e un po’ tragedia

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Vittorio Emanuele (1)

Vittorio Emanuele, che ridere. Sarà che un Paese ha i sovrani che si merita, ma insomma definire Vittorio Emanuele Alberto Carlo Teodoro Umberto Bonifacio Amedeo Damiano Bernardino Gennaro Maria senza ridere, è difficile. È impossibile. Anche se poi è un riso amaro, la sua vita – Napoli, 12 febbraio 1937; Ginevra, 3 febbraio 2024, si è sempre intrecciata con il dramma, eventualmente di carattere penale. Ma un dramma che finiva sempre in melodramma, in tragicommedia. Un re che bestemmiava, “maledetti italiani vi faccio fuori tutti”? Uno che si vantava di andare a prostitute per divertimento, ossia per noia?

Lungo sterminato è l’elenco di gaffe, di uscite dall’umorismo involontario e dunque irresistibile, fino ed oltre il surreale. Il giudice: “V.E. è lei?”. “Certo che io sono io, ce l’ho scritto anche sulla camicia”. Le iniziali, vabbè. Uno che anche per fisiognomica poteva ricordare il duca conte Semenzara, quello del Casinò, uì uè uà, la fortuna viene qui. Un italiano magari non proprio, anche se…

Anche se questo re italiano che voleva fucilare tutti gli italiani, questo sovrano antitaliano, suo malgrado passerà alla storia, storiella, dài, come italiano, italiano vero almeno quanto Maschera, personaggione da Commedia dell’Arte. Nel ridicolo e nel torbido, da carnefice ma anche, e pare incredibile, come vittima. Tutta una montagna russa la sua vita sui saliscendi di quell’eredità difficile, che lo metteva dentro e fuori, sopra e sotto l’origine nazionale come un monarca carsico. In esilio per oltre mezzo secolo di vita, nel 2002 può tornare, entra, giura fedeltà alle leggi dello Stato, alla Costituzione, al Presidente della Repubblica e contemporaneamente chiede 260 milioni di risarcimento per ingiusto esilio. Leggendario, a modo suo.

Ovviamente si sarebbe poi dovuto accontentare di un mercanteggiamento sui gioielli di famiglia, come un italiano piccolo borghese qualunque. E proprio la borghesia anagrafica della moglie lo metteva sulla real graticola, per una infinita e noiosissima e incomprensibile, almeno al di fuori della decaduta real casa, quanto a titoli, successioni, dinastie, retaggi, faide, spesso all’insegna del pessimo gusto, con l’altro pretendente, Amedeo d’Aosta. Antitaliano, “maledetti vi faccio fuori tutti”, ma coi piedi, e fino al collo, dentro gli affari e magari malaffari nazionali dagli elicotteri alle “macchinette per i casinò”, giri inestricabili e inesplicabili che tiravan dentro pure Lele Mora.

Altro che Molière e Goldoni: Lele Mora e il Re. Mio Dio. Tessera P2 n. 1621, che per uno che odia gli italiani non è malaccio, dai. Di sfondo, sempre quella storiaccia fosca del povero Dirk Hamer, centrato da un sparacchiare alcolico durante una festa di ricchi e sfaccendati e puttanieri e intrallazzoni sull’isola còrsa di Cavallo, estate 1978, con tanto di accuse, smentite, ammissioni per interposte intercettazioni, successivamente ritrattate o almeno contestate. Mai una parola di rimorso, a volte anzi di disprezzo. Eppure, questo personaggio, questo improbabile testimone della sovranità italiana, dalle mille accuse per traffico d’armi, per omicidio, per corruzione, concussione, gioco d’azzardo, falso, sfruttamento della prostituzione – un Re che sfrutta le prostitute? – è sempre uscito pulito. Assolto perché il fatto non sussiste. Archiviato. Eccetera. Insomma innocente. Presunto innocente.

Il che lo rende, a suo modo, ancora una volta suo malgrado, molto, molto italiano e comunque più di quanto lui avrebbe forse voluto. Italianissimo, alla vaccinara, alla puttanesca, anche uno dei suoi aulici commenti in merito: “Questi giudici sono dei poveretti, degli invidiosi, degli stronzi. Pensa a quei coglioni che ci stanno ascoltando: sono dei morti di fame, non hanno un soldo. Devono stare tutto il giorno ad ascoltare, mentre probabilmente la moglie gli fa le corna”. E siamo già al Cinepanettone più fondente. E che dire della radicata convinzione, “è tutto un attacco al mio regno, al mio casato”? Vittimismo tricolore doc, d’accordo, ma non siamo ad uno sketch con Vianello e Tognazzi?

Dentro e fuori di galera, dentro e fuori dall’esilio, da qualche magione (italiana) ove scontare arresti domiciliari successivamente ritirati: ma, alla fine, tutti i suoi carichi pendenti si risolvono in spiccioli per roba da niente, porto abusivo di qualche arma. “Ma sa, ne ho 470: io sparo”. E dove coglieva, coglieva. “Ah, ma lì li ho fregati alla fine”. Parole in libertà, senza peso processuale, e sicuramente nemmeno sulla coscienza. Così se ne va un Re all’italiana, sempre mormorato, mai conosciuto sul serio. Una Maschera, una Commedia Umana. Neppure sulla causa di morte si è saputo, “Si è spento serenamente”, vabbè. Un Re coinvolto in vallettopoli, col Lele Mora, ma senza esiti apprezzabili. Re non di coppe, né di spade, ma di troi* sicuramente. Per diretta e orgogliosa ammissione. Vittorio Emanuele P.I.P. Il figlio, già testimonial di una marca di sottaceti, anni fa partecipò a Sanremo con Pupo, molto apprezzato in Russia. Italia amore mio, si chiamava quel succedaneo di marcia reale. “Dovevamo vincere, ma io ero scomodo, il mio nome, Savoia, non poteva trionfare al Festival”. Lo vedi allora che è tutta una Commedia?

Max Del Papa, 3 febbraio 2024

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