Ieri sera, a Tel Aviv, probabilmente per la prima volta nella storia della democrazia, dalle ventimila alle trentamila persone sono scese in piazza per manifestare contro la magistratura e i media. Sì, avete letto bene, migliaia di persone sono scese in piazza per urlare forte il loro sdegno verso la magistratura, che fino a pochi anni fa era il fiore all’occhiello della democrazia israeliana, e contro i giornali, canali televisivi e media in generale, anche loro fino a pochi anni fa altro fiore all’occhiello della libertà di parola sempre garantita dalla democrazia israeliana.
Questa manifestazione, che è solo la prima di una serie di raduni che vedremo in molte città israeliane, è la prova che questi due fiori sono inesorabilmente appassiti sotto la pressione di una sinistra politica ricca di denaro e intellighenzia ma povera di appoggio popolare. Una sinistra che ha fatto e sta facendo di tutto, e in tutto il mondo, per ottenere il potere politico con ogni mezzo e se non ci riesce alle urne lo fa sfiancando la gente con la complicità dei media che non risparmiano continui articoli e servizi televisivi dove il buono è sempre a sinistra e il cattivo sempre a destra. La prova è che tutti i giornalisti non allineati, compreso il sottoscritto, da anni non riescono a trovare neanche la più piccola collaborazione e anche quando hanno degli importanti scoop in mano vengono ignorati. Ma questa è un’altra storia.
La sinistra si avvale anche di una complicità ancora più importante: quella di una parte della magistratura che siede nel suo personale Olimpo e si sente intoccabile, di alcuni magistrati che come una divinità possono fare e disfare, a loro piacimento, la vita di un politico o anche di un cittadino qualsiasi, senza che ogni loro decisione o sentenza possa essere commentata o criticata. Ieri sera però qualcosa è cambiato perché dal palco organizzato dal partito del Premier Netanyahu i vari oratori hanno fatto i nomi di quei magistrati e di quei poliziotti che, come pretoriani, durante le indagini avrebbero, secondo gli oratori, piegato la legge e le procedure pur di dimostrare la corruzione dell’attuale Premier. Dal palco sono stati anche raccontati alcuni casi di testimoni forzati, con minacce da parte di alcuni dirigenti della polizia, a dire ciò che non volevano o che non sapevano ma che serviva ad incriminare il Premier. Persone che poi avevano denunciato il trattamento subito, denunce che erano poi state insabbiate e non avevano avuto seguito, denunce che ora sono state gridate ad alta voce sulla pubblica piazza.
Il perfetto tempismo con il quale sono state pubblicati i rinvii a giudizio nei confronti del Premier Netanyahu, notizia di una risonanza tale che ha rallegrato le sinistre di tutto il mondo, è sintomatico della presenza di una regia che per farle uscire aspettava solo il fallimento del giro di consultazioni per formare un nuovo governo senza Netanyahu. Giro di consultazioni condotto da Benny Ganz, ex capo delle forze armate di Israele, leader della sinistra e di tutti coloro che pur di non vedere mai più Benjamin Netanyahu accetterebbero come capo di governo anche un cretino qualsiasi. Il “No Bibi” è il mantra di coloro che hanno dimenticato dei particolari importanti che per dovere di cronaca è giusto ricordare. La carriera di Netanyahu è solo il frutto di un programma di vita che Bibi dette a se stesso all’indomani dal congedo come ufficiale della Sayeret Matkal, il più decorato corpo antiterrorismo al mondo. Studi all’estero, Laurea e Master in alcune fra le più importanti Università statunitensi. Da Ministro del Tesoro scrisse a quattro mani con Stanley Fischer, uno dei più importanti banchieri al mondo e già dirigente della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, la riforma economica del paese che ha portato grandi benefici al punto che Israele può vantare crescite di P.I.L. da record.
Mai prima di Netanyahu, neanche con Rabin o Peres, il ruolo dello Stato Ebraico nello scacchiere medio-orientale ha acquisito un’importanza come quella attuale, i contatti con le monarchie del Golfo e il riconoscimento americano di Gerusalemme come capitale eterna di Israele e dello status delle alture del Golan, sono solo i risultati della sua politica in campo internazionale. Ma non è tutto perché a questo vanno aggiunte anche le alleanze e cooperazioni con nazioni come l’India e la Cina. Oggi Israele, e questo non lo possono negare neanche i più feroci detrattori dello Stato Ebraico, è una nazione più forte economicamente, militarmente e politicamente, di come poteva essere dieci anni fa. Proprio partendo da questo punto di forza e pur di non trascinare Israele in una guerra aperta, nonostante le enormi pressioni da parte della popolazione del sud sempre dentro al mirino dei missili di Hamas e della Jihad Islamica, popolazione che in grande maggioranza vota proprio per il partito del Premier, Benjamin Netanyahu ha sempre usato il bastone e la carota, lasciando la guerra aperta, casa per casa vista l’alta densità di popolazione civile, come ultima opzione.
Secondo le accuse Netanyahu si sarebbe fatto corrompere con dei regali, bottiglie di vino e scatole di sigari da parte di imprenditori che sono anche suoi amici personali di vecchia data, è anche accusato di aver avuto contatti con imprenditori dei media per cercare di convincerli, peraltro senza risultati, ad adottare una linea editoriale meno ostile. Non esiste al mondo un politico che non abbia contatti particolari con i media pur di non essere costantemente messo alla berlina giorno dopo giorno davanti alla nazione così come a lui è stato riservato tutte le sere negli ultimi anni. Alan Dershowitz uno dei più importanti giuristi americani, invitò pubblicamente il procuratore di Stato Mendelbit a far cadere le accuse perché in tutte le democrazie occidentali non avrebbero avuto rilevanza penale. Ma, cosa ancora più grave e che dovrebbe far riflettere, è stata un’esternazione della professoressa Ruth Gavison, già Premio Israele per la Giustizia, che in una discussione sviluppatasi sulla sua pagina Facebook ha dubitato sulle possibilità di Netanyahu di ottenere un giusto processo.