Forse anche l’ispettore Clouseau sarebbe in grado di mettere in fila alcuni indizi.
Il numero uno delle Generali è un manager, Philippe Donnet, che ha fatto gran parte della sua carriera in Axa. Ha appena silurato il suo direttore finanziario, Alberto Milani, assumendone alcune deleghe.
Axa è la seconda compagnia assicurativa europea, con sede a Parigi, e da tempo ambisce a raggiungere la tedesca Allianz. Il dominus delle Generali è Mediobanca, il cui primo azionista privato è Vincent Bolloré. Il finanziere bretone sta provando a scalare, senza bussare alla porta, Mediaset e negli anni scorsi ha conquistato la maggioranza relativa di Telecom.
Altro azionista forte di Mediobanca (ripetiamo azionista fondamentale delle Generali) è Unicredit, guidata da un francese, che ha appena venduto ai suoi connazionali la controllata nel risparmio gestito Pioneer. La stessa Unicredit, secondo indiscrezione della stampa, poteva essere oggetto dell’attenzione della banca francese Société Générale.
Un intreccio complicato, ma con una logica semplice: gli attori hanno tutti l’erre moscia.
I francesi, il cui capitalismo di relazione e di Stato è più profondo del nostro, hanno nel tempo conquistato in Italia la grande distribuzione, molte aziende del lusso, l’energia elettrica (Edison), una buona fetta dell’alimentare (non solo Parmalat), di telecomunicazioni e risparmio abbiamo già detto, e la lista potrebbe continuare.
È il mercato, bellezza. Ma la nostra Pantera rosa, una conclusione potrebbe tirarla: quando le imprese francesi vengono in Italia non chiedono il permesso (forse come è normale in un libero mercato) e anche se molti indizi non fanno una prova, la possibilità che le Generali diventino francesi non è remota.
Fatta questa lunga premessa, cosa ti combinano i vertici delle Generali? Si prenotano il tre per cento di Intesa-SanPaolo, per evitare la possibilità che la banca di Carlo Messina metta un piede a Trieste oltre il consentito. Una sorta di pillola avvelenata, il cui bugiardino recita così: se vuoi entrare in Generali non ti basta prendere un dieci o venti per cento, ma devi lanciare una costosa Opa su tutto.
Perché la più importante assicurazione italiana si difende preventivamente da un possibile assalto che le potrebbe lanciare la più importante banca italiana? E perché lo fa proprio nel momento in cui gli indizi porterebbero in tutt’altra direzione?
Purtroppo il nostro timore è che come spesso è avvenuto nella nostra storia, è meglio un francese o un tedesco, che il tuo vicino di casa. Le grandi aziende sono anche fatte di persone, di carriere, di rapporti: ed è molto facile che più si è vicini e più aumentano le rivalità. Spiegazione banale. Ma spiegherebbe Cipolla, quello che ha aggiunto la M. al suo nome di battesimo Carlo, ogni categoria umana, indipendentemente dal ruolo ricoperto, soffre dei vizi e delle stupidità più banali.
Tutto ciò rischia di farci male, come sistema Italia. Unicredit, Generali, Pioneer e la sua acquirente francese Amundi (controllata proprio da Société Générale, ecco che ritorna) hanno in pancia la bellezza di 200 miliardi di euro di titoli del nostro debito pubblico. Se i loro quartieri generali si dovessero spostare fuori dai nostri confini, il rischio di trovarsi nella medesima condizione del 2011 quando il primo ordine di vendita del nostro debito arrivò da Deutsche Bank scatenando le vendite dei mercati, è altissimo.
Viva il mercato, meglio se tutti lo rispettano, ma pensare che un pezzo dei nostri giacimenti di petrolio, cioè il risparmio gestito, vada a finire all’estero per rivalità domestiche fa un po’ rabbia.
Ps. Quando il governo e la Banca d’Italia hanno esercitato la loro moral suasion per costituire un salvagente per le banche italiane (Atlante) i francesi di Bnl e quelli di Cariparma sono state tra le poche istituzioni a dire di no. Legittimamente. Hanno le loro radici in Italia, ma il portafoglio a Parigi.
Nicola Porro, Il Giornale 25 gennaio 2017