La gogna è il carattere fondamentale del nostro tempo. Se non abbiamo qualcuno da incolpare e processare sulla pubblica piazza non siamo soddisfatti. Chi incolpiamo oggi? Chi offendiamo? Chi insultiamo? La colpa altrui non ci renderà felici ma è così utile a soddisfare il nostro risentimento che, ormai, il boia che è in noi non ne può più fare a meno. Il giustizialismo politico non è più “solo” una strumentale arma politica e giudiziaria ma è diventata la forma della coscienza immorale degli Italiani che, come ho provato a mettere in luce ne L’individualismo statalista, hanno la testa a forma di Procura. Ormai l’aria che respiriamo ha capovolto tutti i sani criteri di giudizio politico, giudiziario, civile, persino scientifico, clinico, estetico e storiografico.
Viviamo in un processo universale perenne i cui l’unica cosa che conta è incolpare qualcuno che avrà fatto sicuramente qualcosa. Una volta si riteneva che fosse meglio avere un colpevole in libertà piuttosto che un innocente in carcere ma oggi si pensa sia meglio il contrario. Un tempo vigeva la presunzione di innocenza ma oggi c’è la presunzione di colpevolezza. Ieri l’altro si indagava in base alla notizia di reato, oggi basta il sospetto. Non solo di fatto ma anche di diritto non esistono più innocenti ma solo colpevoli in attesa di essere sospettati e messi alla gogna.
Le cose che dico non sono un’interpretazione politica più o meno originale del nostro tempo e come tale passibile di critica o di condivisione. No. Le cose che dico riguardano da presso la concezione e l’applicazione del diritto penale che nel tempo è stato travolto fino a diventare, come recita il libro di Filippo Sgubbi che invito a leggere, Il diritto penale totale (Il Mulino), sottotitolo: Punire senza legge, senza verità, senza colpa. Il diritto penale è diventato ormai totale perché riguarda ogni spazio della vita individuale e sociale che è per definizione, ormai, da punire. È totale perché, con la cancellazione della prescrizione, è senza limite di tempo: infinito, eterno. È totale perché ormai tutti credono che nel diritto penale ci sia il rimedio a ogni ingiustizia e a ogni male sociale.
Una volta il processo penale riguardava l’accertamento di un fatto precedentemente accaduto. Dovrebbe essere fisiologicamente così anche oggi giacché il reato precede il processo e il pubblico ministero e il giudice sono sottoposti alle leggi: così si dovrebbero ricercare le prove, accertare i fatti e verificare se rientrano nella fattispecie prevista dalla legge. Invece, oggi tutto è stato capovolto e dal processo penale che accerta un fatto si è passati al processo penale che crea il fatto. È l’accusa che costruisce la colpa! Aberrante! Il processo precede il reato e così si va alla ricerca di un fatto che poi potrà rientrare nella previsione di norme penali. Siatene certi: il fatto verrà trovato perché il diritto è stato di fatto slegato dalla legge e le fonti, ormai, sono infinite. Tanto che la famosa frase “la legge è uguale per tutti” è la parodia di sé stessa: le giurisdizioni sono innumerevoli e la giurisprudenza, che fin dal nome invitava alla prudenza, è il diritto del fanatismo.
Una tale idea di giustizia è in lotta con il mondo dal quale vuole togliere i peccati e in guerra con l’umanità e il suo legno storto che vuole raddrizzare. Non è più una giustizia umana, che come tale sbaglia, ma divina e dunque diabolica e disumana perché arresta tutti senza poter essere a sua volta arrestata ossia fermata. Su tutti regna la cultura del sospetto per cui la legge è sostituita dal controllo permanente che trasforma i cittadini in sudditi. Il sospetto genera la teoria del complotto con cui ogni accadimento è spiegabile giacché il complotto capovolge l’esigenza dell’onere della prova: non è più necessario esibire prove ma bisogna dimostrare che il complotto è falso. Sennonché, il complotto è vero a priori perché è proprio l’esistenza della dietrologia – ossia della magia – che soddisfa il risentimento, l’invidia, la frustrazione, l’insicurezza, il vittimismo.
Tutti noi, ormai, viviamo in questo manicomio in cui il diritto penale (totale) s’identifica con l’etica pubblica e tutto, anche i vizi, i peccati, i comportamenti “impropri”, gli sbagli, tutto è reato. Le azioni – che si tratti di affari o di sesso, di lavoro o di ambiente, di tasse o di amministrazione – non escono dal recinto dell’incriminazione penale. La giustizia penale è diventata la grande mediatrice del modo di concepire e sentire la società ossia i rapporti umani. Il celebre incipit de Il processo di Kafka – “Qualcuno doveva aver calunniato Josef K. perché senza che avesse fatto niente di male, una mattina fu arrestato – è semplicemente non solo la realtà della nostra condizione ma anche la forma ideale della coscienza. Ma con una differenza peggiorativa: in Kafka la colpa riguarda una persona in quanto tale, mentre nel nostro tempo la colpa è legata al ruolo sociale, all’attività, al genere sessuale.
Auguri!
Giancristiano Desiderio, 28 gennaio 2020