Esteri

La guerra in Ucraina

“Vogliamo solo la vittoria”. Perché il grido di Zelensky preoccupa

Kiev chiede più armi all’Italia. Intanto il massacro prosegue. E c’è il rischio che duri a lungo

Esteri

di Toni Capuozzo

Il “giornalista combattente”, Locatelli, ce l’ha fatta a consegnare i viveri all’italiano e ai suoi amici e a un bel numero di animali che languivano a un po’ di chilometri da Kiev. Bravo, è un combattere che fa bene. Invece inevitabile preoccuparsi alle parole di Kuleba, ministro degli esteri ucraino: “L’Italia mandi armi. Il peggio deve ancora venire”. E neppure Zelensky, legittimamente orgoglioso, lascia spazio ai compromessi. “Una vittoria della verità significa una vittoria per l’Ucraina e gli ucraini. La domanda è quando finirà. Questa è una domanda profonda. È una domanda dolorosa. Oltre alla vittoria, il popolo ucraino non accetterà nessun risultato”. Così il presidente ucraino Volodymyr Zelensky in un’intervista a Fox News. Alla domanda su che cosa sia “disposto ad accettare” al fine di garantire un accordo di pace, il presidente ucraino ha risposto: “Non scambiamo il nostro territorio. La questione dell’integrità territoriale e della sovranità è fuori discussione”.

Così Zelenskj ieri mattina. Così, anche se possono esser dichiarazioni a uso della sua opinione pubblica, dura a lungo. Avevamo visto giusto sul passaggio dalla difesa all’attacco: ecco in arrivo i carrarmati comprati da Biden sul mercato dell’est. Le guerre sono così, per Putin e per noi, in modo simmetrico: sono sabbie mobili, inizi, e poi è sempre più difficile venirne fuori. Vuoi negare il diritto ucraino alle terre irredente da otto anni di guerra sporca e una quarantina di giorni di guerra nobile?

Ieri mattina sono andato a vedermi il santuario militare di Fagarè della Battaglia, a due passi dal Piave. Quello poco discosto dalla casa con la famosa scritta: “Tutti eroi! O il Piave o tutti accoppati!”, poi salvata e conservata nel santuario, assieme a un’altra, meno divulgata, perché il fascismo l’aveva fatta sua: meglio un giorno da leone che cento da pecora. I nazisti tedeschi nel 1944 avevano distrutto una parte del sacrario, quella in cui dei bassorilievi, piuttosto realistici descrivevano il sacco degli austroungarici: stupri, furti, distruzione dei raccolti. Una cancel culture anzitempo, e inutile perché quei bassorilievi sono stati recuperati e sono ben visibili.

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