Il Natale quando arriva arriva e si porta addosso venti di correctness, venti mefitici. È il capitalismo woke che abusa di istanze socioprogressiste pesanti ma fragili veli, foglie di fico per candeggiarsi la coscienza, come descritto da Carl Rhodes, come raccontato da Federico Rampini. Una involuzione talmente ignobile e perversa del capitalismo, da minarne i capisaldi che hanno costruito le nostre civiltà liberal-liberiste. Il Natale quando arriva arriva e c’è sempre qualcuno che lo vuole castrare: il presepe cristiano no, l’albero di Natale no (a Roma hanno provveduto alla grande con lo “Spelacchio” della Raggi), l’augurio di buon Natale no, meglio festa inclusiva, ma inclusiva di che?
Tutto un attacco, da Bologna a Londra, da Milano a Bruxelles, il Natale la festa un tempo più amata, da tutti, indistintamente, oggi esecrata, detestata, anche se nessuno, a cominciare da chi vuole abolirla, accetta di rinunciare alle vacanze che porta con se e al consumismo che lo correda, anche se oggi assai più dimesso rispetto ai Natali d’oro del boom democratico.
Comunque il Natale va eviscerato, va riveduto e (politicamente) corretto, cioè distrutto. Prendiamo proprio Bruxelles, dove un borgomastro di un comune dipartimentale, Saint-Gilles, si è messo in testa una cazzata meravigliosa, l’ennesima: Saint-Nicolas, che sarebbe l’alter-ego internazionale di Babbo Natale, dovrebbe essere più inclusivo, qualsiasi cosa voglia dire, rispettoso dell’ambiente, dunque senza automobile, e, naturalmente, meno bianco e un po’ più queer. Ora, è una faccenda delirante sotto tutti gli aspetti: il Vecchio Barbone carico di doni, come sanno tutti, savi e cretini, meno il borgomastro, non è mai arrivato in auto, neanche elettrica, ma su una slitta trainata nel cielo dalle renne stellari; dire che lo si vuole “inclusivo” per non offendere i non cristiani è un nonsenso che non necessita di spiegazioni; renderlo queer vuol dire farne un trans, poche storie, senonché non si vede la correlazione tra pigmento (meno bianco) e attitudine sessuale. Scemenze, scemenze.
Babbo Natale, per chi lo volesse sapere, non certo per i borgomastri invasati, ha una storia misteriosa e poetica. È colui che porta i doni, è la trasposizione consumistica di San Nicola di Bari, che non era di Bari ma la cui salma venne trafugata da un manipolo di ladroni baresi che non erano ladroni ma guerrieri determinati a trarlo in salvo dai turchi, che si approssimavano pericolosamente (ci riuscirono, e di San Nicola – Santa – Babbo si parla ancora oggi). Era ricchissimo, e sensibile almeno altrettanto: c’erano una volta tre fanciulle di specchiata virtù, che crescevano nella casa paterna, finché un giorno il padre le convocò e disse loro: io per voi ho fatto tutto quello che potevo, adesso dovete cavarvela da sole. E intendeva: dovete battere il marciapiede. San Nicola lo venne a sapere e, di notte, lasciò davanti alla casa delle tre ragazze ormai in età da meretricio altrettanti sacchetti cospicui di ori e di preziosi: la dote. Le sorelle si salvarono e San Nicola da allora fu quello che porta i doni.
Mitologia cristiana, si dirà: sì, ma conoscete qualcosa di più semplice, umile e poetico? Di più natalizio? Ecco, che si sappia o meno, è tutto questo che vogliono portarci via. Perché, poi? Per renderlo “più inclusivo, meno bianco e un po’ più queer”? Ecco che la fiaba lascia il posto ad una realtà sordida, che peraltro nessuno ha chiesto. Ammettiamo pure che le minoranze vadano tutelate, non offese (?), rispettate: fino a un certo punto però, non al colmo di travolgere le maggioranze per numero, cultura e tradizione. Poi occorrerebbe una certa qual reciprocità: perché le minoranze religiose qui possono imporre il loro credo, perché si arriva all’assurdo di garantire loro (è un esempio) moschee nelle quali predicano la distruzione di chi gliele ha lasciate costruire? Perché nei paesi arabi, musulmani aprire una chiesa è semplicemente fuori discussione, e però deve starci bene così? Dove sta la logica, dove il motivo? Si arriva al delirio per cui si vorrebbe imporre un Babbo Natale “impuro”, sessualmente ambiguo, a beneficio di quei gruppi etnici che odiano gli omosessuali e che, nei Paesi di provenienza, li fanno fuori. Che senso ha tutto questo?
La verità è che, tenuto presente il potere del capitalismo woke di cui si accennava, queste presuntissime istanze non interessano a nessuno; già pretestuose di partenza, slegate da ogni realtà, inconsistenti sotto tutti i profili, improponibili sul piano logico, hanno velocemente fatto il loro tempo, per saturazione indotta, per arroganza, per sterilità. Sono cascami ideologici già morti, anche se pretendono di regolare le società ospitanti. Babbo Natale genderfluid e senza macchina a Bruxelles?
Ma Bruxelles è già una enclave musulmana, da quelle parti il caro vecchio Santa Klaus lo abbattono, se lo vedono, a prescindere. E invece no, non va così, non può funzionare così. È tutto sbagliato, non torna un accidente di niente. Babbo Natale, con tutte le sue derive pop, è roba nostra e il borgomastro cretino se ne faccia una ragione; con lui tutte le vestali, i paraculi, gli esagitati che pretendono di insufflare qualcosa che non c’è, non c’è mai stato e non può esserci. Qualcosa di vaneggiante, va pur detto, una volta per tutte, forte e chiaro. Qualcosa da non prendere minimamente sul serio. Se la cantassero e suonassero tra loro. Non è detto si debba arrivare a 94 anni come la compagna redenta Edith Stein per capire, per accettare che non c’è dialogo con certi interlocutori e non c’è fondamento in queste imposizioni da incubo, perché il Natale quando arriva arriva, ma non è detto che lo si debba passare in manicomio per quattro scemi che non hanno di meglio da escogitare pur che si parli di loro.
Max Del Papa, 17 novembre 2023