Proprio in queste ore si stanno decidendo le sorti della vecchia Alitalia. I rumors di Palazzo, a meno di colpi diretti del premier Draghi, parlano della solita palude: si doveva avere un’idea sull’acquirente entro la fine di maggio, e invece niente. Si rischia una nuova palude, a spese del contribuente. Con un nuovo nulla di fatto. Ci sono tre partiti: quello dei tedeschi, quello dei francesi e quello del tirare a campare così come è.
La nuova Alitalia, che si chiama Ita, alla prova dei fatti si è dimostrata come la vecchia Alitalia. A parte una verniciata di azzurro su aerei e applicazione online. Proprio la sua mano di vernice dovrebbe far riflettere. È la prima cosa che hanno pensato di fare quelli del marketing. Dei geni: pensavano che bastasse una mano di blu per trasformare una Ritmo in una Lamborghini. Gli aerei dentro sono esattamente uguali a quelli di prima, ma fuori sembrano diversi. Insomma, cambia la forma, ma non la sostanza. E l’applicazione per le prenotazioni è ora di un bell’azzurro, ma funziona peggio di quella di prima: è talmente stupida che ad ogni check-in dovete ridigitare il vostro nome e cognome.
Ma andiamo con ordine. Purtroppo, e lo scrive chi all’inizio ci aveva creduto, le cose non sono andate come dovevano. L’azienda, secondo gli ultimi dati pubblici, continua a perdere circa due milioni di euro al giorno. Direte: ci siamo abituati. Ma il punto è un altro. La nuova compagnia ha pochi dipendenti, con stipendi e benefit all’osso. Ha preteso, giustamente, di prendere solo gli aerei (cinquanta) che voleva e tutti dello stesso tipo per razionalizzare i costi. Insomma, qua non c’è nessuno (vero, presidente Altavilla?) che può fare il Marchionne e sparare su lavoratori, o sindacati.
Qua l’azienda perde, come al solito, con il piccolo dettaglio che non si può dare la colpa ai dipendenti. Che, anzi, sono l’aspetto migliore della nuova impresa. Nonostante vengano retribuiti come dipendenti di low cost, hanno generalmente garbo e professionalità consolidate. E quando fate gli schizzinosi per un trattamento ricevuto a bordo, pensate a come vi trattano altrove. Il vero tema non sono solo i quattrini che ogni giorno brucia Ita. Pensate, è nata comprando il marchio Alitalia per la bellezza di 90 milioni (c’è chi sostiene sia stata obbligata dal governo) e lo ha messo nel cassetto. È come se un percettore di reddito di cittadinanza si comprasse ostriche e Dom Perignon per tenerli in cantina.
No, il problema si chiama litigiosità. In azienda volano da mesi i coltelli. È un segreto di Pulcinella che il presidente Altavilla e l’amministratore delegato, Lazzerini, si detestino. E la cosa scende per i rami. Con i dirigenti che rispondono al primo e che fanno i dispettucci a quelli che rispondono al secondo. L’azienda è piccola ed è difficile lavorare bene con questo clima. Si salva per fortuna l’operatività del gruppo, che è lasciata ad un pilota che pensa a far volare le macchine, ad istruire il personale e alla sicurezza dei passeggeri. Per il resto è un Vietnam. Sono decine gli sgarbi che si fanno da quelle parti: basti pensare che un giorno l’ad della compagnia è stato convocato dal presidente e che più o meno gli ha detto: «Ti bastano un paio di milioni per andartene?». E quello gli ha risposto: «Ma che, scherzi? Tu non hai potere di darmi un euro. Semmai lo può decidere il Tesoro, che è nostro azionista». Bel clima. Dovrebbero essere uniti per dare un futuro alla compagnia, e invece convivono volendosi licenziare a vicenda.
In questo ambiente da asilo Mariuccia, come pensate che stia andando il processo di vendita della compagnia? Male, ovviamente. Da una parte la cordata italo-tedesca (Lufthansa e Msc) e dall’altra quella francese (i fondi con Air France). Ieri Repubblica raccontava delle lamentele dei tedeschi, che avrebbero accusato l’azienda di non aver fornito loro le informazioni richieste. C’è da scommettere, e in azienda lo fanno, che le due fazioni si dividono tra francese e tedesca.
D’altronde se la compagnia è divisa, servirebbe un governo unito. In un recente incontro organizzato da Capone, segretario di Ugl, si è capito benissimo come all’interno di Palazzo Chigi e del Tesoro si riflettano le medesime contrapposizioni che ci sono in Ita: con il partito di Parigi e quello di Berlino. A ciò si aggiunga la commissione Trasporti: con una componente, ad esempio Fratelli d’Italia, che non vuole cedere la maggioranza di quello che incredibilmente ritiene un gioiello, d’accordo con una certa parte della sinistra. E dall’altra Lega e Forza Italia (Rixi e Rosso) che pensano che si debba cedere il prima possibile.
La storia purtroppo si ripete. Il governo non prende in mano le redini, la politica ritiene che Ita, come la vecchia Alitalia, sia un suo campo da gioco e i contribuenti pagano il conto.
Nicola Porro, Il Giornale 25 giugno 2022