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Von der Leyen lancia il manifesto del superstato europeo

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E sì che sarebbe bene ragionare seriamente sullo Stato dell’Unione, su quel che è o è diventato questo strano “animale” voglio dire. Ma Ursula von der Leyen non è la persona adatta. Non lo è perché è di parte, perché è chiusa nelle sue certezze, perché è convinta che le sue idee siano le migliori e che vadano imposte a tutti e rapidamente. C’è un deficit democratico alla base della costruzione europea, sempre più evidente, perché non si è mai voluto veramente chiarire, e soprattutto sottoporre al vaglio elettorale, a chi spetti la sovranità: se alle nazioni e ai popoli o a dei burocrati, e se le nazioni contino per il loro peso specifico o ognuna lo stesso per il semplice fatto di star sedute insieme intorno a un tavolo.

Europa gretina

Un tempo l’Europa fu procedure, parametri, oggi vuole darsi un’anima. Purtroppo l’anima che vuole darsi non è quella della sua tradizione, cristiana e liberale in senso classico, ma è come è diventata nel momento della sua decadenza: disincantata, senza fede e passioni, individualistica, remissiva, narcisistica, dilaniata dai sensi di colpa, che si vergogna della sua storia che vuole cancellare (che è un po’ come voler segare i piedi alla sedia su cui si sta seduti). E per di più con un progetto prometeico che è lo stesso che l’ha vista sperimentare, nel secolo scorso, ben due totalitarismi e due guerre mondiali: creare, casomai con l’aiuto della tecnica, l’uomo nuovo, trasformato, redento. Qui sulla terra. Senza tenere a conto che l’uomo è un essere imperfetto, come dice la tradizione liberale, o, se preferite, segnato dal peccato originale, come vuole la tradizione cristiana.

Nell’epoca del suo tramonto, l’Europa è come se avesse perduto il senso tragico della vita, quella consapevolezza che l’ha portata non a sradicare ma a controllare e incanalare il male che scorre nel “legno storto” dell’umanità. È il “costruttivismo”, per dirla con Friedrich von Hayek, il male profondo che attanaglia i politici che hanno, soprattutto in questo momento, in mano le redini del continente. Quali fossero i connotati del “mondo nuovo” di ursuliana impronta fu subito chiaro, già al momento dell’insediamento un anno fa: il verde e il digitale. Erano supportati da due ben utopie: il catastrofismo gretiano e il transumanesimo. E ritornano entrambe, ad un anno esatto dall’insediamento della presidentessa, con l’aggiunta però di un terzo obiettivo, imposto dalla pandemia: la tutela della salute dei singoli e la prevenzione di virus veri o presunti. A me sembra il più pericoloso di tutti, proprio per i forti accenti di biopolitica securitaria che può assumere in una prospettiva dirigistica e sovranazionale, non suffragata dal passaggio democratico.

Gender fluid

È in quest’ottica che si inserisce l’insistenza giusta sui “diritti umani”, là dove sono conculcati come in Cina (con la quale però si dovrebbe essere più coerenti anche nei fatti e meno disposti a fare affari a prescindere). Ma anche la loro radicale estensione al mondo lgbt, non nel senso del rispetto di tutti gli individui ma in quello di una abolizione delle distinzioni naturali. Lo stesso piano di rilancio chiamato Next Generation Eu e anche il Recovery Fund rischiano di diventare in questo contesto, come ha scritto in un’interrogazione l’europarlamente Vincenzo Sofo, delle armi improprie di ricatto per chi non accetta i diktat del politically correct. Un uomo che vive in una campana di vetro, senza corporeità e socialità concrete, in un mondo pulito e sanificato, gender fluid: è questo che ci aspetta?

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