Chiesa

Wojtyla e la Dc: quando il Papa mandò in bagno Andreotti

I rapporti di Giovanni Paolo II con il Divo e Cossiga, la vicinanza a Craxi durante l’esilio e i retroscena sull’attentato

© Marius Igas Photography tramite Canva.com
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Il Papa che sapeva parlare ai cuori. “Se mi sbaglio, mi corrigerete”. E da piazza San Pietro gremita, salì l’abbraccio di Roma. A pronunciarle, nel lontano 1978, fu Karol Wojtyla il primo Papa straniero dopo oltre 450 anni.

Incontrai Giulio Andreotti pochi minuti dopo l’annuncio. Con la sua consueta bonomia romana, mi disse: “Questo Santo Padre cambierà il mondo, ma sono triste”.
– “Perché non hanno eletto un italiano?”.
– “Ma no… Gli italiani erano troppo divisi: da una parte Benelli, l’arcivescovo di Firenze; dall’altra Siri, il cardinale di Genova. Se la sono cercata”.
– “E allora perché triste?”.
– “Perché, per la prima volta, il Papa è più giovane di me”.

Mentre Francesco Cossiga, all’epoca senza incarichi di governo dopo le dimissioni dal Viminale per la vicenda Moro e ancora lontano dal diventare “il Picconatore”, fu lapidario: “Sono finiti i giochini dei miei amici democristiani con la Segreteria di Stato e la Conferenza Episcopale. Aria nuova a San Pietro. Ci voleva proprio”.

Bettino Craxi, sempre lucido e cinico, commentò con lungimiranza: “Morto un Papa, se ne fa un altro. Ma per Mosca sarà un bel problema”. E in effetti lo fu. Pochi giorni dopo l’elezione, Andreotti, allora presidente del Consiglio, ebbe una delle prime udienze con Giovanni Paolo II. Ricordo quell’incontro per un aneddoto divertente. L’appuntamento era fissato alle 6:30 del mattino nel cortile di Sant’Anna per poi salire agli appartamenti papali. Alle 6:20 Andreotti era già lì, emozionato, nonostante avesse varcato quel portone centinaia di volte fin dai tempi in cui il giovane Montini – futuro Paolo VI – lavorava alla Segreteria di Stato, ancora senza mitra. Alle 7:45, il presidente rientrò subito nel suo studio pallido e con le mani sullo stomaco per precipitarsi in bagno. La jajecznica – la colazione polacca – aveva avuto la meglio: uova cotte nel burro, pancetta affumicata, salciccia, pan di patate funghi e fagioli, serviti con slancio dal Santo Padre.

Andreotti, abituato al solito cappuccino con mezzo cornetto, faticò non poco. Nonostante ciò tra i due si instaurò un rapporto costellato da incontri, lettere e cartoline. E proprio una cartolina, per così dire, lo attendeva un giorno a San Pietro, durante una cerimonia programmata da tempo e coincisa con la richiesta di condanna da parte dei pubblici ministeri di Perugia per l’affaire Pecorelli. Incerto se partecipare, anche per le perplessità della moglie, donna Livia, viste le polemiche, Andreotti decise di andare. Appena preso posto in terza fila, un monsignore del cerimoniale gli fece un cenno. Per un attimo, mi raccontò il Divo, si sentì imbarazzato. Alla fine della funzione, fu fatto avvicinare all’altare: il Santo Padre volle dargli una benedizione speciale pubblica.

In molti videro in quel gesto un’implicita dichiarazione di fiducia verso Andreotti nel pieno del suo procedimento giudiziario. Commentando la circostanza, il presidente mi confessò che, assieme alle visite di Madre Teresa di Calcutta, fu uno dei momenti di maggior conforto in quegli anni.

Giovanni Paolo II era un Papa politico. La politica gli piaceva, e non aveva paura di esporsi. Seguiva persino le dinamiche della Democrazia Cristiana che, con Martinazzoli, stava chiudendo i battenti. Un giorno il Pontefice convocò i capi della Dc e, con Andreotti presente, disse loro molto contrariato: “Se non avete un’alternativa valida tacete per sempre”. Un altro episodio analogo avvenne durante il tradizionale Te Deum di fine anno, nel 1994. Al termine della celebrazione, mentre lasciava la chiesa, il Papa avrebbe notato la presenza di Rosa Russo Jervolino. Tornato sui suoi passi, le si avvicinò esclamando, con tono preoccupato: “Rosetta, ma che cavolo state facendo?”.

Wojtyła fu molto vicino anche a Bettino Craxi quando ebbe suoi guai giudiziari. Durante l’esilio ad Hammamet, il Papa gli fece sapere, tramite don Verzé, che lo ricordava ogni mattina nella Messa celebrata nella sua cappella privata. Commosso, Craxi rispose con un biglietto: “Santo Padre, l’unica grande fiducia è in Lei”. Il rosario che Craxi tiene tra le mani nella tomba gli fu inviato proprio da Giovanni Paolo II, sempre attraverso don Verzé che lo consegnò alla figlia Stefania. Eppure, i rapporti tra i due non iniziarono nel migliore dei modi. “Santità, Lei guarda l’Italia con gli occhiali polacchi”, affermò polemicamente Craxi, da leader socialista, in Parlamento durante il dibattito sull’aborto era il 1981.

Due anni dopo, da premier, andò in visita ufficiale dal Papa. Sbalordendo i gentiluomini di Sua Santità, si presentò con degli stivaletti e si sedette prima del Pontefice. L’incontro, grazie all’affabilità del Papa, andò benissimo. Craxi capì di trovarsi davanti ad un’opportunità: contrastare il comunismo, attraverso il sostegno a Solidarność. Quel supporto venne da più parti, anche dalla generosità della famiglia Ferruzzi, vicina, con Carlo Sama e Sergio Cusani, al leader socialista. Craxi, grazie al lavoro di Gennaro Acquaviva, riuscì dove tutti i grandi democristiani – da Rumor, Moro, Fanfani ad Andreotti – avevano fallito: la revisione del Concordato tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica, culminata negli Accordi di Villa Madama del 1984.

Dal primo giorno dell’elezione di Wojtyła, i servizi segreti di mezzo mondo intensificarono “l’attenzione”. Cossiga, sempre aggiornato sull’intelligence, mi raccontò che giunse a Roma un dossier monstre: una mole di documenti contenenti intercettazioni, rapporti e resoconti di appostamenti. Il primo dossier risaliva al 1945: Karol Józef Wojtyła, allora seminarista a Cracovia, veniva indicato tra i soggetti da “far esaminare”. Per proteggerlo, i superiori decisero di inviarlo a studiare a Roma. Anche in Italia, il futuro Papa fu costantemente osservato. Perfino alcune donne che frequentava nelle compagnie teatrali furono “schedate”. Un’inchiesta del giornalista Stefano De Andreis su una presunta fidanzata fece esplodere una bufera, ma Giovanni Paolo II tagliò corto: “Non mi disturba affatto. Anzi, mi fa sorridere: mi ricorda gli anni della gioventù”.

Una nota del 1966 documenta la sua partecipazione al Concilio Vaticano II: “Portava con sé 3.120 dollari, cuciti nella tonaca, tre impermeabili e 17 pacchi di libri”. Quando Wojtyla apparve per la prima volta con lo zucchetto bianco sulla loggia di San Pietro, tra la delegazione ufficiale polacca c’erano anche agenti del IV Dipartimento. E i vertici della polizia polacca si riunirono con i funzionari del KGB. Nessuna prova, ma è da lì che partono i sospetti sull’attentato del 1981. Nei rapporti arrivati a Palazzo Chigi nel 1998 si legge anche di una “fidanzata segreta”. Pare fosse riuscita, grazie a una lontana parentela con un alto prelato, a installare dispositivi di intercettazione negli appartamenti papali.

Ma il futuro Santo ha sempre avuto la mano della Provvidenza sul capo. Che l’ha protetto, fino all’ultimo, per rivoluzionare e sbalordire il mondo con la sua testimonianza di fede. La Provvidenza gli indicò anche la strada. E lui non ebbe mai paura. Duc in altum. Come disse Gesù a Pietro.

Luigi Bisignani per Il Tempo 30 marzo 2025

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