Cultura, tv e spettacoli

X Factor, il simbolo della decadenza musicale

È anche colpa dei talent se è cambiata la percezione della musica

Ma davvero i talent show hanno rovinato la musica italiana? Lucio Dalla, che un po’ di esperienza l’aveva, diceva che X Factor “sembra una trasmissione di deficienti”. Di danni i talent ne hanno fatti se come pensava Ezio Bosso “la musica dovrebbe insegnarci la cosa più importante che esista: ascoltare” ed è anche colpa dei talent se è cambiata la percezione della musica. Per esempio, oggi si dice “andiamo a vedere un concerto” mentre una volta un cantante o un concerto li andavi ad ascoltare. Oggi si guarda, non si ascolta più. E non solo nella musica (a)live.

Lo stesso Caparezza che non è certo un bacchettone si è chiesto, più che “saranno famosi?” dovremo chiederci se “saranno capaci?”. Anche per Caterina Caselli di fronte alla telecamera c’è il rischio che l’artista, che in genere è una persona timida, si preoccupi troppo di piacere agli altri e, di conseguenza, si trasformi in ciò che gli altri vogliono da lui. Perché X Factor non insegna ad intrattenere o a dominare il palco come deve saper fare un artista, ed è più importante il direttore della fotografia che taglia l’inquadratura per i telespettatori, piuttosto che l’abilità dell’artista di esibirsi in pubblico.

E poi “ci vuole orecchio” come cantava Enzo Jannacci “bisogna avere il pacco, immerso, intinto dentro al secchio, bisogna averlo tutto, tanto, anzi parecchio” bisogna, cioè, essere nella realtà musicale e comprenderla bene. Non a caso i talent show hanno avuto molto successo in Paesi dove la buona musica non interessava più o dove la cultura non è una priorità ma un fenomeno da contenere. E quindi non stupisce che l’X Factor italiano sia uno dei più longevi, mentre nella pandemia musica e artisti sono stati abbandonati.

Ogni soldo investito nei reality musicali è denaro che potrebbe essere impiegato per sostenere la musica vera, quella degli orchestrali e dei teatri perché aveva ragione che Frank Zappa: “Quando parliamo di libertà artistica talvolta ci dimentichiamo del fatto che la libertà dipende spesso da finanziamenti adeguati”. Basterebbe poco per cambiare molto. Infatti, se nei reality accettassero solo quelli usciti dal Conservatorio inizieremmo ad ascoltare musica vera. Ma per diplomare un pianista del Conservatorio servono 10 anni mentre in una stagione il partecipante di un talent passa dalle stalle alle stelle illudendosi di essere una rockstar.

Ma rende più un pianista o venti finte rockstar? Il gregge poi non capirebbe la differenza di livello tra due concorrenti molto bravi e quindi sceglierebbe il più bello e allora se deve vincere il più bello è inutile che sappia anche cantare. E si livella tutto verso il basso. E X Factor è proprio la fase finale e di completamento della decadenza musicale iniziata con la fine delle orchestre, con la musica elettronica e con l’eccessiva mercificazione e digitalizzazione del settore. X Factor è un passo, anche tre, in più verso il baratro: si trasforma tutto in gara perché il brivido della competizione serve a dare sostanza al nulla.
Così si atrofizza il senso del bello sino a farlo disprezzare come un gusto fuori moda.

E non ci stupiamo se oggi la musica è triste e parla “di cose che passano” o del disagio di una rabbia rassegnata. Perché la musica è gioia, felicità e bellezza ma gli uomini felici consumano poco. Bach diceva che “la musica aiuta a non sentire dentro il silenzio che c’è fuori”, invece, nei talent è il silenzio interiore che vince. Quel silenzio che cancella ogni valore e anche la buona musica non può propagarsi nel vuoto.

Quando un giorno chiedendoci cos’è la musica non sapremo più dare una risposta forse rimpiangeremo l’invenzione dei talent. E capiremo che erano inutili perché c’era già Sanremo.

Gian Paolo Serino, 30 giugno 2023