Rassegna Stampa del Cameo

Xi Jinping e le censure dei giornali occidentali

Rassegna Stampa del Cameo

Il celebre Istituto di Ricerca Fög di Zurigo ha pubblicato un report relativo al 2017 sul trend dei fruitori svizzeri di canali mediatici. Ricordo che la Svizzera è al primo posto al mondo nella maggior parte dei parametri di civiltà, l’unico paese, per me, che può fregiarsi del titolo di liberale nature, l’unico governato dalla democrazia diretta (è bellissimo vivere in un paese dove l’ultima parola l’hanno i cittadini con il referendum). Secondo il report, negli ultimi nove anni i cosiddetti “deprivati delle notizie” sono passati dal 21% al 36% dell’intera popolazione (trattasi di quegli utenti che fruiscono di poche notizie e quando lo fanno ricorrono a canali non convenzionali). Fra i giovani questi sono addirittura al 53%. Costoro non ricorrono mai ai canali classici, in particolare non sono disponibili a pagare per l’informazione. Così come i secondi in classifica (23%), detti global surfer, assidui frequentatori del web però interessati anche alle news digitali.

In altre parole i giovani sono molto interessati a consumare media, ma non a informarsi sui media convenzionali. I giornali nelle versioni cartacee perdono lettori e quattrini e i ricavi dei loro siti rappresentano sì introiti interessanti, ma non in grado di ricuperare le copie perse nelle edicole. Le grandi testate svizzere patiscono la concorrenza dei padroni della rete, in primis Google e Facebook. Malgrado ciò, la qualità dei media elvetici resta alta, ma in calo, secondo Fög. D’altro canto la riduzione degli organici, la centralizzazione delle redazioni, comportano la scomparsa della diversità mediatica. È meno accentuata che da noi in Italia, ma sta andando in quella direzione. Lo proietto sulla mia pelle di lettore: un tempo compravo quattro giornali di serie A, erano quattro oggetti diversi, oggi ne compro due e li trovo identici: stesse fonti, stesso approccio redazionale, così la contestualizzazione, i “nemici” sono gli stessi, identica (ottusa) la protezione agli “amici”. A me, servono solo per cogliere le fake truth di giornata.

Si sostiene che le notizie complesse vadano rese “cool”, bella affermazione ma l’execution di questo nobile obiettivo, è molto complessa. Essere trasparenti, spiegare perché si è scelto un tema anziché un altro, è molto difficile, se non sei indipendente nel profondo (noi apòti siamo ormai quattro gatti). Produrre fake news è atto ignobile, ma trasformare le notizie in fake truth per difendere le proprie ideologie e scelte politiche è atto altrettanto ignobile.

Un esempio e una premessa: tutte le notizie che riguardano i detentori del potere, gli Stati, la diplomazia, fin dai tempi assiro babilonesi, sono fake per definizione. Prendiamo il caso di Jamal Khashoggi (dietro c’è l’Arabia Saudita, quindi l’America di Donald Trump) e confrontiamolo con due episodi avvenuti nello stato canaglia di Xi Jinping. Pagine e pagine sul primo caso, imbarazzati silenzi sui secondi. Così siamo precipitati nel magico mondo delle fake truth di matrice occidentale.

Mi sono chiesto: perché non è stato fatto un parallelo fra il caso di Khashoggi e quelli di Meng Hongwei “evaporato” (era un cinese, ma non uno qualunque, era il capo dell’Interpol mondiale, una specie di Onu delle polizie criminali) o di “caduta dalla finestra” di Zheng Xiaosong (membro del Comitato centrale del PCC). I due avevano una caratteristica in comune: erano caduti in disgrazia di Xi Jinping. “Se Lui ti bolla come corrotto sei spacciato e destinato a evaporare”, si dice in Cina. Ma costui gode della sottomissione politico-culturale dei nostri establishment che si bevono tutte le sue bugie (per questo si meritano il titolo di mandarini). Il mandante della morte del giornalista (un principe) viene presentato in un certo modo (corretto), sul mandante degli altri due (un imperatore) si glissa. In entrambi i casi, come ovvio prove non ce ne sono, ma solo in un caso ci si nasconde dietro al fatto che non ci siano.

In termini giornalistici, la trovo una modalità imbarazzante di fare comunicazione. E allora, perché criticare i giovani che cercano altre strade per consumare sì media, ma trascurando le fake truth di regime: hanno ragione loro.

Riccardo Ruggeri, 25 ottobre 2018