Tensioni nel Pacifico

Xi si fa imperatore: così la Cina prepara la guerra agli Usa

Pechino continua a finanziare il proprio apparato militare. Xi si sta preparando per un conflitto diretto con gli Stati Uniti?

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In un contesto geopolitico europeo infuocato, dove i rapporti tra il nostro continente e la Russia non erano così radioattivi dagli anni della Guerra Fredda, la Cina continua la sua ascesa economica e militare. Da domani partirà anche il ventesimo congresso del Partito Comunista, dove Xi sarà pronto a consacrarsi leader supremo, al terzo mandato consecutivo.

Il potere assoluto di Xi

In virtù della modifica dello statuto nel 2018, il limite dei due mandati – ciascuno dalla durata di cinque anni – è stato spazzato via dal governo. A ciò, si affiancherebbe comunque il limite massimo di età, fissato a 68 anni, per gli incarichi pubblici-istituzionali. Eppure, nel 2023, Xi si avvierà per il settantesimo compleanno, ma la legge non conta: è il leader supremo che detta diritto, regole, imposizioni. E l’amministrazione di Pechino ne sta fortemente risentendo.

Dal momento della sua ascesa – esattamente dieci anni fa – il leader cinese ha installato luogotenenti fidati a tutti i livelli del partito; ha inasprito radicalmente il potere statalista verso la popolazione (la politica da Covid-zero ha portato a vere e proprie scene orwelliane, prima a Wuhan e poi a Shanghai); ha represso l’opposizione in luoghi come Hong Kong e Xinjiang, per tenersi pronta alla futura occupazione di Taiwan. Insomma, è la nuova Cina bellica.

Economia di guerra

A livello militare, non è un caso che Xi, ormai da tempo, stia puntando sullo sviluppo dell’arsenale nucleare cinese, raddoppiando i budget statali da destinare al settore della difesa; oltre al perseguimento dell’indipendenza nella produzione di semiconduttori avanzati (di cui Taiwan ne è tra le maggiori esportatrici al mondo e principale fornitore occidentale).

Non è neanche un caso che, la scorsa settimana, il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti abbia aumentato la pressione con nuove restrizioni all’esportazione di semiconduttori avanzati e apparecchiature per la produzione di chip. A ciò, ricordiamo anche il radicale incremento delle esercitazioni di combattimento, nonché il vertiginoso aumento della spesa militare a 200 miliardi di dollari solo nel 2022, più del doppio dell’importo speso prima della sua ascesa al potere.

Il controllo del Pacifico

Centrale rimane anche il ruolo svolto all’interno delle acque pacifiche. Pechino, infatti, costruisce da tempo piccole isole artificiali nel Mar Cinese meridionale, che si trovano a pochissime miglia a sud-est di Taiwan. Si tratta di veri e propri rifugi, geopoliticamente cruciali per attacchi aerei e navali nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico. Ed è da qui che la Cina sta concentrando la formazione dell’apparato bellico, soprattutto sullo sviluppo di nuove portaerei, missili ipersonici, armi nucleari.

I numeri, rispetto a quelli taiwanesi, diventano sempre più schiaccianti: il Dragone vanta quasi 3 mila velivoli da guerra contro i 400 di Taiwan; 6 mila carri armati contro 800; 52 sottomarini contro – tenetevi forte – 2 di Taipei. Numeri da brividi, ma che devono far conto della forte ingerenza americana: lo stesso Biden, infatti, ha annunciato che, in caso di invasione dell’isola di Formosa, gli Stati Uniti sarebbero pronti ad agire militarmente contro la Cina. Una conseguenza che, forse, rimane l’unica forma di deterrenza su cui il Pacifico può contare, per non vedersi travolto dall’onda del Dragone. Un’onda che sta diventando sempre più alta.

Matteo Milanesi, 15 ottobre 2022

 

 

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