Yoko Ono, la pacifista che tifa ergastolo

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Yoko Ono, chi era costei? Domanda non letteraria, perché in 87 anni di vita non l’ha mai capito nessuno. Neanche Yoko Ono. La “artista visuale, concettuale, musicale” a dispetto dei suoi conati, tutti sull’infantile o sull’emulativo, comunque di mediocrità imbarazzante, non produzione ma prodotto di un tempo delle possibilità, resta alla storia come quella che ha sfasciato i Beatles: ed è vero e non è vero, i ragazzi erano già cotti e si sarebbero dispersi comunque come schegge ostili. Allora diamole atto di essere stata un capro espiatorio – autentica almeno in questo. Ma il resto. Il resto, per carità.

Un curriculum esemplare da sovversiva blasé, pura sinistra teorica coi soldi che le escono dagli occhi a fessura e dalla bocca ancor più sottile: un bancomat che prendeva solo, a cominciare dalla luce riflessa di Lennon. Figlia di banchieri, allevata tra tate giapponesi e servitù assortita, l’unico problema fin da ragazza è fare cose, vedere gente, rigorosamente a un certo livello; finché conosce il Beatles “intelligente”, lo ammalia, lo folgora sulla via dell’impegno, così come va inteso nelle alte sfere newyorkesi: lei cerca luce alternativa, lui cerca allure culturale: parte una delle sit-com più ipocrite del rock e del ventesimo secolo. I bed-in pacifisti e le tenute americane, le invettive contro la guerra e i contratti miliardari, l’impegno e l’impugno, le lagne manifesto, Imagine all the people, la più gettonata dopo una strage, ma così, giusto per aggirare il problema, per esorcizzarlo con la solfa del mondo diverso, non più capitalista, niente religioni, niente confini, pace amore e fantasia.

Praticamente l’inno della globalizzazione vincente, quella che piace alla sinistra che piace tanto più che sotterra i popoli, i poveri, i deboli: sotto con la liturgia, l’unica Messa accettata, il girotondino coi lumini e col pianino di strada che strazia “Imagine” serve a non dire che la strage ha matrici ben precise, che le alternative di stampo Marx bignami sono puerili. Ma guai a dirlo, si rischia la foto a testa in giù, come per Giorgia Meloni. Yoko Ono, quo vadis? Molta fuffa, paccate di niente, le provocazioni un tanto al chilo, le operine dimenticabili e dimenticate, la coscienza civile, il pasto nudo col suo John nel letto, ma sotto gli occhi del mondo, artista per osmosi, per rimbalzo; ma Frank Zappa la ospitava sul suo palco, insieme a Lennon, solo per gustarsi i suoi strampalati strilli avanguardisti e riderne sotto i baffoni, crudelmente sarcastico. Zappa amava esporre i presuntuosi e i velleitari al loro stesso ridicolo. E Vasco Rossi, una volta, con sintesi un po’ stralunata ma efficace: “Ma ‘sta Cocco Iocco… Ma insomma cos’è?”.

Vexata quaestio! Cosa è, chi è Cocco Iocco, con quel faccino obliquo, quello sguardo forse sfottente, da pigliare in giro lo monno, che ricorda la vecchietta nipponica spietata di DareDevil? semi-artista pacifista del demi-monde, ne ha combinata un’altra. Un’altra ipocrisia. Si dà il caso che l’assassino di suo marito, Marc Champman, abbia appena chiesto, per l’undicesima volta, la libertà vigilata. Dopo 40 anni dal folle gesto di un folle che cercava notorietà, che voleva uccidere il padre, l’idolo, e prenderne il posto. Undici richieste, undici dinieghi. E, intendiamoci, può starci, anche se Chapman ha avuto parole di pentimento e di vergogna per l’esaltato criminale tossico che fu: verba volant, può darsi benissimo che quelle parole significhino niente, che la sua malsana mente non si sia mai riavuta, questo lo lasciamo alle commissioni incaricate. Anche se 40 anni di galera, su 65 di vita, di fatto, sono un ergastolo.

Sta di fatto che, secondo il suo legale, Jonas Herbsman, ad influire, questa come altre volte, sulla commissione per la libertà vigilata è stata ancora e sempre lei, Iocco Cocco. L’apostola dell’amore, la paladina della libertà, del perdono, della tolleranza, dell’egualitarismo, la Giovanna d’Arco al neon contro l’uomo a una dimensione e la reclusione come struttura concentrazionaria borghese. Nessuna pietà, nessun ripensamento. Nessuno spiraglio dalle sue labbra a fessura, dal suo sguardo di rasoio enigmatico. Chapman marcisca dove è già marcito. C’è qualcosa che stride, e non solo negli ingranaggi della coerenza. È come se Yoko Ono volesse dire al mondo che l’assassino ha fatto qualcosa di troppo immane perfino per i suoi standard libertari: ha ucciso John Lennon che era suo marito, ha ucciso Dio. E lei era la moglie di Dio. Sì, affiora qualcosa di spietatamente narcisistico e insieme calcolatorio in questa chiusura totale, radicale contro qualsiasi forma di perdono, di comprensione o se non altro di pietà che scorra su un infinito tempo stagnante.

Dov’è l’amore, Yoko? Dov’è l’arte, dove l’elevazione, la saggezza in tutto questo, Yoko? Noi sappiamo che, quando venne ucciso, John il libertario, John il pacifista, John il cantore del mondo immaginario senza bandiere e senza dèi si era votato alla causa repubblicana, addirittura reaganiana (anche su questo, meglio soprassedere): dobbiamo dunque concludere che anche tu, per luce riflessa, per osmosi…? Ma neppure questo è importante, quello che conta davvero è che la tua morale sembra proprio come la tua vecchia band: “plastic”, di plastica, come una tua installazione. Come la tua coscienza, il tuo ruolo nella sottocultura edonistica del Novecento. Iocco Cocco non lascia niente di apprezzabile, poteva lasciare almeno la pietà. Invece tra due anni Chapman, il balordo che uccise Dio, a 67 anni presenterà un’altra istanza. E Yoko Ono, a 90 anni, ancora si opporrà. “Niente per cui uccidere o morire/E nessuna religione/Immagina tutta la gente/Che vive la sua vita in pace”. Solo versi di una canzone, cara Iocco. Una canzone non tua.

Max Del Papa, 29 agosto 2020

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