C’è un libro, bellissimo, che val la pena riprendere in mano in queste ore. Sto parlando delle Lettere di Yonathan Netanyahu, fratello dell’attuale premier israeliano Bibi, morto nell’assalto delle forze speciali israeliane per liberare i passeggeri ad Entebbe.
Michele Silenzi, che nel 2016 per Liberilibri ne ha acquistato i diritti e scritto l’introduzione, parla di un involontario romanzo di formazione. Il brillante tenente colonnello morirà a trent’anni: aveva davanti a sé una brillante carriera, una borsa di studio ad Harvard, eppure decide di tornare in patria per difendere il suo Paese. Come uno dei tanti che oggi ritornano a Tel Aviv per combattere a Gaza. Nelle sue lettere ci racconta cosa passa per la testa a un giovane individualista innamorato della giustizia. Un giovane intellettuale che si portava con sé i libri di Ayn Rande che si rifiuta di fare il pilota di aereo per intraprendere la ben più impegnativa carriera del paracadutista. «Nell’esercito ho imparato – sembra un paradosso, ma scrive esattamente così – ad apprezzare la bellezza della vita, l’immenso piacere del sonno, il gusto dell’acqua, che è unico, l’insuperabile valore della forza di volontà, e tutte le meraviglie che un uomo può compiere se soltanto vuole». È libero, ma determinato.
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Scrive a Rina il 23 maggio del 1973: «Hai quasi 16 anni. Ti rendi conto che hai vissuto quasi un quarto della tua vita? Un insetto, che vive solo pochi giorni probabilmente sente che l’arco della sua vita sia enorme. Forse per questo noi crediamo di avere ancora un’eternità davanti a noi. Ma l’uomo non vive per sempre e dovrebbe usare al meglio i giorni della sua vita. Dovrebbe provare a vivere la vita al massimo della sua pienezza. Come farlo non posso dirtelo; se avessi una risposta chiara avrei metà della soluzione di questo puzzle chiamato vita. Io so soltanto che non voglio arrivare ad una certa età, guardarmi intorno e scoprire improvvisamente che non ho creato nulla, che sono come tutti gli altri esseri umani, che corrono di qua e di là come tanti insetti senza mai raggiungere niente ripetendo all’infinito la routine della loro esistenza soltanto per discendere infine nelle loro tombe».
C’è molto di più in queste lettere.
C’è molto di quello che spinge tanti giovani israeliani a combattere oggi per il proprio Paese e c’è l’idea, come scrive Silenzi, «che il male non si batte provando a rieducarlo, non si batte con il buon esempio, non si batte sentendo e propagandando un insensato senso di colpa, non si batte mostrandosi buoni. Il male si batte soltanto con un cosciente per quanto drammatico atto di violenza».
Nicola Porro, ilGiornale, 5 novembre 2023