Zelensky è l’uomo giusto per un tavolo di pace?

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Leggo non senza sconforto le dichiarazioni di Volodymyr Zelensky dal puntuale ottimo resoconto di Camilla Conti su La Verità dello scorso sabato. «Apprezziamo tutti coloro che ci aiutano per portare avanti la formula di pace». «Stiamo preparando una conferenza per l’anno prossimo incentrata sulla ricostruzione, ma non ci sarà vera ricostruzione senza sicurezza, e l’Europa e la Nato sono componenti importanti perché gli investitori devono credere e fidarsi dell’Ucraina prima di venire a investirvi capitali: dobbiamo avere la sicurezza per proteggere i nostri capitali». «Vogliamo che gli ucraini che oggi lavorano negli altri Paesi ritornino a casa». «Vorremmo collegarci alla griglia energetica europea, anche per l’energia nucleare, in modo da ridurre il prezzo dell’energia in Europa». E, a proposito dei timori che Kiev possa attaccare direttamente il Cremlino, dice Zelensky: «è un peccato che non si possa fare», per poi precisare che stava «scherzando».

Non so a voi, ma dalle dichiarazioni appena riportate a me sembra che l’uomo non sia adeguato a sedersi ad alcun tavolo di pace. Non voglio fare lo psicologo della domenica, ma la mancanza di lucidità e di nervi saldi si taglia col coltello. Cita una «formula di pace» che mi rammenta quella che s’era inventata quel capolavoro di Luigi di Maio nel maggio 2022, e che era come l’araba fenice. Comunque, la «formula Zelensky» esiste veramente ed è una formula in 10 punti, nove dei quali sono banalità (tipo cessazione ostilità, garanzie di varie sicurezze, restituzione dei prigionieri di guerra) messe lì per riempire un foglio che possa chiamarsi piano di pace (o “formula”, come dice Zelensky). Ma uno di codesti dieci punti recita: «ritiro della Russia da tutti i territori occupati e ripristino dei confini del 1991», che è un modo diverso per dire di non volere alcuna pace se non la resa incondizionata della Russia. Insomma parole bellicose rivolte ad astanti alla cui intelligenza si fa non piccolo torto.

Evoca la ricostruzione, poco prudente e non poco frettoloso, il presidente ucraino, per la quale programma già una conferenza per l’anno prossimo, ma non ha alcuna pace in tasca. Ancora peggio: molto correttamente rammenta che non può avviarsi alcuna ricostruzione se non c’è sicurezza, ma subito dopo tiene a ribadire di confidare nella Nato per codesta sicurezza. Parole che suonano più come una provocazione, visto che la controparte, con la quale Zelensky dice di voler pervenire alla pace, ha più volte manifestato, in proposito, preoccupazioni per la propria sicurezza. E, torto o ragione che essa abbia, rimane il nodo della “solenne” promessa di neutralità del 1990. Qualcuno dei miei lettori mi ha fatto notare che cito la cosa come un disco rotto e qualcun altro più perspicace di me mi ha eccepito che molte cose sarebbero occorse dal 1990 a oggi. Come sempre mi sbaglierò, ma a me sorge il sospetto che quando gli interessati si siederanno al cosiddetto tavolo della pace – un tavolo che, dalle notizie che ci vengono fornite, non sembra ancora forgiato – in quel momento, dicevo, una delle parti porrà come prima domanda: «che ne è di quella solenne promessa?». Forse l’altra parte dovrebbe prepararsi e produrre una risposta anziché fare orecchie da mercante.

«Dobbiamo avere sicurezza per proteggere i nostri capitali». Parole sconcertanti in un mondo così attento al politicamente corretto. Nessuna parola per il proprio martoriato popolo. Che poi, in questo caso, non si tratta di correttezza politica, quanto di senso di giustizia e di cuore. Probabilmente inariditosi nel corso di questi oltre due anni: umanamente comprensibile, ma se c’è una virtù che un capo di Stato non può non avere, quella è la fortezza. Anche se l’impressione, qui, è che manchino tutt’e quattro, ché non vedo neanche prudenza, giustizia, o temperanza.

E nessuna parola per i soldati ucraini e – sì, perché no? – per i soldati russi. Li vuole tutti a casa gli ucraini che lavorano in altri Paesi. Ma gli ucraini non vanno da nessuna parte perché sanno quale sarà il loro destino: il fronte, a morire. Nelle sue dichiarazioni, Zelensky si sarebbe preoccupato del costo dell’energia in Europa e noi non abbiamo parole: una preoccupazione, la sua, quanto mai fuori luogo, visto che non l’ha neanche Ursula von der Leyen. E, quanto alla virtù della temperanza, non l’ho citata a caso. Di solito siamo persone di spirito, rifuggiamo il politicamente corretto, e ridiamo alle barzellette su carabinieri, svizzeri, polacchi, negri, mussulmani, ebrei e anche su quelle su noi stessi. Ma anche le barzellette devono sapersi raccontare e, soprattutto, si deve sapere quando non raccontarle. E le ultime parole «scherzose» citate all’inizio, per me significano una cosa sola: Volodymyr Zelensky non è l’uomo adatto a sedersi ad alcun tavolo di pace. Il popolo ucraino forse potrebbe riflettere se non sia il caso di trovarne uno più adatto.

Franco Battaglia, 13 settembre 2024

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