“Squilla la tromba che già il giorno finì/ già del coprifuoco la canzone salì. /Su, scolte, alle torri,/ guardie armate, olà!/ attente, in silenzio vigilate!”. L’inno delle scolte di Assisi, un canto medievale, invita tutti a vigilare, perché qualcosa di buono accadrà e dobbiamo essere pronti a cogliere la luce della speranza, anche nel momento più drammatico. E uno squillo vigile ha squarciato il tempo, ci ha buttato giù dal divano e non possiamo dire di non aver sentito.
“Questa potrebbe essere l’ultima volta che mi vedete vivo”. Così dichiara il 24 febbraio il presidente Zelensky in un video collegamento con i leader dell’Ue poco dopo l’attacco all’Ucraina. Ha una moglie e due figli, è giovane. Non tentenna, non fugge, si espone. Incita i suoi a difendersi e gli europei a sostenere lui e il suo Paese. Mette a rischio la sua vita per la libertà. Ci testimonia per che cosa valga la pena vivere, resiste coraggiosamente in nome della sua cultura, della sua fede, del suo legame d’appartenenza con le sue radici, della sua tradizione, per amore della sua terra, del suo popolo e per la sua stessa famiglia che condivide con lui il rischio.
Di colpo il re è nudo. Il castello di carte crolla. Ma come? Non avevamo imparato che la cosa più importante di tutte, l’unica cosa per cui avesse senso l’esistenza, fosse la salute? L’unica divinità per la quale compiere sacrifici sull’altare dell’umanità? In due anni non abbiamo visto altro, non ci siamo preoccupati di altro e come dice Marcello Veneziani nel suo ultimo saggio La Cappa: “L’idea stessa di libertà, dopo questa esperienza, è mutata radicalmente; si è ridisegnato il suo rapporto con l’autorità e con la sicurezza” la paura di morire e la salvaguardia totale del nostro essere, biologicamente inteso, sono stati il focus di tutto.