Ci sono tre cose incredibili in questo Eurovision Song Contest. Primo: il risultato era talmente scontato da apparire pure noioso seguirlo. Quando di mezzo ci si mette il perbenismo, non c’è gara musicale che tenga. Dovevano vincere gli ucraini, invasi dall’autocrate Putin, e così è avvenuto. Poco importa se la loro canzone, va detto, era decisamente bruttina.
Secondo: è stato veramente imbarazzante il moto di sostegno arrivato – non tanto da Zelensky, quello sarebbe pure comprensibile – ma dai vertici europei. I quali pare che non abbiano di meglio da fare che emozionarsi per le performance canore della Kalush Orchestra. “Stanotte la tua canzone ha conquistato il nostro cuore. Celebriamo la tua vittoria in tutto il mondo. L’Ue è con te”, ha scritto Ursula Von Der Leyen tra una riunione a Bruxelles e l’altra. Charles Michel, che di inventiva ne ha molta meno, s’è limitato a twittare alcune parole del testo di Stefania.
Terzo, e forse è la faccenda più incredibile: i cantanti ucraini hanno seriamente rischiato la squalifica. Il motivo? Il loro leader subito dopo l’esibizione si è lasciato andare ad un messaggio “politico” rivolto alla sua terra. Anche questo, comprensibilissimo. Ma vietato dal regolamento, che all’Eurovision song contest è rigidissimo e vieta ai partecipanti di esporre tesi politiche. Attimi di panico hanno costretto gli organizzatori a cercare una via d’uscita, trovata nel più classico dei giochi di parole: i commenti del frontman Oleh Psiuk non erano un messaggio “politico” ma “umanitario”. Dunque tutti felici e contenti: la Kalush Orchestra, bocciata dalla critica, grazie al televoto si ritrova sul tetto della musica mondiale.
Che poi se di messaggio di pace parliamo, c’è un buon motivo per essere preoccupati. Già, perché il presidente Zelensky sulla sua pagina Facebook ha scritto che l’anno prossimo l’Ucraina, che sarà chiamata a organizzare la prossima edizione, farà “il possibile” affinché la città ospitante possa essere Mariupol. Bello, ma complicato. Nel senso che la città nel Sud dell’Ucraina è – Azovstal a parte – ormai nelle mani della Russia. Per organizzare anno prossimo lì l’Eurovision le opzioni sono due: firmare un armistizio con Putin oppure riconquistarla a suon di bombe. E visto che per il momento pare che Kiev e Mosca non siano propense a sedersi ad un tavolo, la più probabile delle opzioni sembra essere la seconda. Sicuri che il mondo voglia un contest musicale organizzato al ritmo di granate e “armi letali occidentali”?