Rassegna Stampa del Cameo

Zingaretti e la vittoria: “È arrivato l’arrotino” - Seconda parte

Mettiamoci nei panni delle élite dopo la vittoria di Zingaretti. A meno di volersi raccontare bugie, è un disastro annunciato. Significa, prima o poi, la ricostruzione della Sinistra plurale (una bellissima parola che però ha consuntivato pessimi risultati). D’altro canto che fare? Sostituire Matteo Renzi con Beppe Sala? A detta degli head hunter sarebbe troppo rischioso, costui pare essere un buon project manager però senza respiro strategico, a Milano ha sì aumentato il perimetro della Ztl ma, come al solito, a scapito delle periferie. Gli head hunter propendono piuttosto per Marco Bentivogli, amatissimo dallo stock di “competenti” di Twitter, ma quanto abile nella comunicazione senza la copertura del ruolo di sindacalista? Il convento passa Nicola Zingaretti, lui ha la carte in regola perché eletto dal popolo plurale di sinistra. Il linguaggio non è il massimo, si è subito scontrato con la declinazione del verbo “imparare”, oggettivamente non facile per chi nasce già imparato. Mi ricorda quegli omoni simpatici che nel primo dopoguerra si facevano precedere da un urlato “È arrivato l’arrotino”. Il tema sarà “Quanto sarà condizionabile in economia?” E se si rivelasse un Jean-Luc Mélenchon con venature alla Jeremy Corbin? Ovvero, orrore, un Roberto Fico senza barba?

Mi sa che prima o dopo le élite, se vogliono uscire dal cul de sac in cui sono finite, sia chiaro, per loro sprovvedutezza, debbano seguire il consiglio di quel vecchio stravagante che ama il divertissement applicato alla vita politica. Ripete costui, ossessivamente: la politica è come il business, non esiste senza execution, e l’execution comporta un Ceo con pieni poteri. Come arrivarci? Basta sostituire il suffragio universale con l’epistocrazia. Cari amici, o avete gli attributi per imporla o smettetela di farvi seghe mentali.

Riccardo Ruggeri, 5 marzo 2019

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