Da gattini domestici a tigrotti. È questo il repentino passaggio di una buona fetta di quotidiani e giornalisti mainstream, dopo gli esiti delle elezioni del 25 settembre, cioè da quando gli italiani hanno premiato Giorgia Meloni e la coalizione di centrodestra. Dagli applausi preventivi a Mario Draghi, ancora prima che prendesse la parola in conferenza stampa, siamo passati a veri e propri ring di pugilato con l’attuale numero uno di Palazzo Chigi. E ieri sera, dopo il Consiglio dei ministri di Cutro, se ne è offerta l’ennesima dimostrazione.
Più volte, infatti, i giornalisti hanno chiesto alla premier di ricostruire i tragici fatti, che hanno portato alla morte di oltre 70 migranti in prossimità delle coste del crotonese. L’obiettivo di alcuni “competenti dell’informazione” era chiaro: sviscerare eventuali omissioni o ritardi del governo circa l’inizio delle operazioni di salvataggio dei naufragati. Eppure, Meloni non le ha mandate a dire: “La segnalazione di Frontex dell’imbarcazione, che si avvicinava alle coste italiane, è delle 22.36 di sabato, il naufragio c’è stato quasi all’alba di domenica: è un caso molto particolare quello di Cutro e se qualcuno dice che c’è stata volontà delle istituzioni di girarsi dall’altra parte, questo è grave“. E sentenzia: “In questo momento ci sono venti imbarcazioni che qualcuno sta soccorrendo in acque italiane, voi parlate, giustamente, di un caso in cui non siamo riusciti, ma nessuno si occupa degli altri”.
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Un messaggio chiaro ai detrattori dalla schiena dritta, in altre situazioni ed in diversi contesti ben nascosta. In particolare quando a Palazzo Chigi vi erano altri esecutivi, specialmente di colore politico opposto. Tanto per andare al nocciolo della questione, Mario Draghi ha lasciato la presidenza del Consiglio con una media di 124 morti al mese, superiore a quella del governo Meloni in quattro mesi e mezzo, il cui numero si attesta a 105 decessi mensili.
E ancora, in due anni e 10 mesi di governo Renzi, i migranti vittime delle acque del Mediterraneo hanno superato la cifra mastodontica di 10mila persone, per poi passare ai 3.500 e ai quasi 2.000 morti durante l’esecutivo Gentiloni (un anno e 5 mesi) e i due di Giuseppe Conte (un anno e 3 mesi per il Conte I; un anno e 5 mesi per il Conte II, per lungo tempo attraversato dalle difficoltà e dalle chiusure pandemiche). Per Giorgia Meloni, invece, i morti in mare di attestano a 421 nell’arco di quasi 5 mesi.
Ma andiamo avanti. La più grande tragedia nelle acque del Mediterraneo si è verificata proprio quando al governo c’era la sinistra. Ai tempi, il Presidente del Consiglio era l’ex segretario del Partito Democratico, Enrico Letta. Il 3 ottobre 2013, dalla città libica di Misurata, partì un peschereccio con a bordo più di 500 migranti, la gran parte di origine eritrea ed etiope. A poche centinaia di metri dalle coste dell’isola di Lampedusa, i motori si bloccarono generando panico tra i passeggeri. Un sintomo di paura e disperazione che poi portò l’imbarcazione a rovesciarsi ed essere inghiottita dalle onde. I morti certificati furono addirittura 368, a cui si aggiunsero 20 dispersi. Stiamo parlano di un numero di decessi quintuplo rispetto alla tragedia di Cutro.
Ai tempi, il Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite accolse il ricorso presentato contro Roma da quattro sopravvissuti al naufragio, tre siriani e un palestinese. “Avrebbe dovuto tutelare il diritto alla vita di oltre 200 migrati che erano a bordo dell’imbarcazione, e invece non ha risposto prontamente a varie chiamate di soccorso partite dalla barca”. Nessuno, però, si scandalizzò così tanto, come invece stanno facendo oggi i “sinceri” giornalisti democratici contro il governo Meloni. Pare che anche i morti debbano avere necessariamente un colore politico.
Matteo Milanesi, 10 marzo 2023